— oh my marketing!

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Nuova pagina in anteprima dal libro Un etto di marketing, prossimamente in libreria: l’intervista a Gianpaolo Paglia, conosciuto sia tra chi ama il vino sia tra gli estimatori della condivisione in rete.

Gianpaolo è infatti blogger esperto, attività che porta avanti da anni in coppia con la moglie, Justine Keeling, dalle pagine web del sito della sua azienda Poggio Argentiera, posizionata a livelli di eccellenza e presente sui maggiori mercati internazionali.

INTERVISTA A GIANPAOLO PAGLIA (AZIENDA VITIVINICOLA POGGIO ARGENTIERA).

Bloggare per la tua azienda vitivinicola: è una scelta dettata dalla passione o dal ragionamento?

E’ stata una evoluzione naturale del mio uso di internet, che è cominciato con i forum sull’argomento e con la frequentazione di newsgroup come it.hobby.vino.

La mia è sopratutto una scelta coerente con i miei interessi personali piuttosto che una strategia ragionata di comunicazione.

Hai fatto delle valutazioni prima di iniziare?

No, nulla di particolare.

Ti sei prefissato degli obiettivi?

Se sì, ritieni di averli raggiunti?

Niente obiettivi particolari, ma sono contento di avere un certo numero di lettori del mio blog, all’incirca un centinaio di unici al giorno, che mi gratifica e mi induce a continuare a scrivere.

Da quanto tempo porti avanti il blog di Poggio Argentiera?

Se dovessi ricominciare ora, faresti qualcosa di diverso?

Credo che siamo intorno ai 4 anni.

L’unica cosa che avrei dovuto fare subito ma che ho ritardato è stata quella di bloggare con il mio dominio, “poggioargentiera.com”, invece che con domini altrui.

Il blog ha anche una sezione di e-commerce, dove vendete i vostri vini. Che relazione c’è tra il blog e le vendite?

Direi abbastanza poca.

Il mio shop per me è soprattutto una possibilità in piu’ per quei pochi che cercano in modo particolare un mio vino e non riescono a trovarlo nella loro zona.

Lo vedo come un servizio in piu’ al mio lettore/cliente, piu’ che una possibilita’ reale di business.

Utilizzi altri strumenti del web “sociale” per la tua azienda?

Twitter, Facebook, Friendfeed, Vinix, tutti in modo abbastanza saltuario.

Si sa che il mondo del vino su internet è intensamente popolato di blogger e appassionati che discutono molto… come ti senti rispetto a questo affollamento?

Lo ritieni una ricchezza cui attingere o una minaccia che rende più difficile emergere?

Non mi pongo il problema di emergere, il mio lavoro non è fare il blogger ma fare il vino.

Uso il blog per comunicare quello che faccio e chi sono, ed è quello che mi interessa, ma non mi pongo assolutamente in competizione con i vari blogger del vino.

Piuttosto mi sembra che ci sia una scarsità assoluta di aziende di vino che usano il blog, e questo mi rende in una posizione se vogliamo privilegiata, ma non ne faccio un punto di vanto, semplicemente molti non sono ancora arrivati ma arriveranno.

Quali tra questi aggettivi definisce meglio la tua attività di marketing su internet per la tua azienda, e perché?

– divertente
– remunerativo
– interessante

(naturalmente puoi darne altri se preferisci…)

Divertente, arricchente, formativa.

Il tuo blog ha anche una parte in inglese, significa che portate avanti una conversazione anche su mercati esteri?

Mia moglie è inglese, e quindi l’idea era di partire con una conversazione parallela, ma non la copia della mia tradotta in inglese, ma una cosa completamente indipendente anche se sulla stessa pagina.

Purtroppo il fatto che in questo momento lei si trovi a gestire 3 figli molto piccoli non ha reso possibile un vero e proprio esperimento, ma arriveremo piu’ avanti.

Infine, cosa c’entra il vino con internet?

C’entra come c’entra tutto il resto.

Non credo che il vino c’entri in modo particolare, ma fa parte della vita di alcune persone e sicuramente internet permette scambi e networking impensabili prima di lui.

Per me è una miniera di informazioni e un modo per rimanere a contatto con le opinioni di una parte dei miei clienti, e dire anche la mia in piena liberta’.

Un etto di marketing (è un etto e mezzo, lascio)?” di Massimo Carraro, ed. Alpha Test, sarà in libreria nel mese di febbraio. Per avere un codice sconto del 20% senza obbligo di acquisto basta una mail.

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Piccolo ritardo imprevisto del libro, dovuto ai tempi di stampa e di distribuzione.

Nel frattempo cercherò di intrattenervi adeguatamente sul tema del marketing per salumieri…

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Andrea Gori, titolare della Trattoria Da Burde di Firenze, anche conosciuto come “sommelier informatico”, ha accettato di raccontare la sua preziosa esperienza di marketing sulle pagine di Un etto di marketing, a giorni in libreria.

INTERVISTA AD ANDREA GORI (TRATTORIA DA BURDE).

Se non sbaglio, tu eri appassionato di tecnologia quando hai iniziato a
bloggare per la tua attività, è così?

Quanto ha contato questa tua predisposizione?

Diciamo che mi piace considerarmi un “nativo digitale” in quanto i
miei ebbero la bellissima idea di regalarmi un commodore 64 all’età di
8 anni quindi praticamente ho vissuto una vita con i computer, anche
se quasi esclusivamente per giocare.

Ma dopo aver lavorato in una società di consulenza e formazione a distanza, una delle prime ad avere la banda larga in Italia (parliamo del 1999), mi si sono aperti gli occhi e ho cominciato a vivere digitalmente ogni aspetto della mia vita.

E quindi, quando ho cominciato a bloggare come sommelier per
Burde, è stata una evoluzione naturale del mio modo di vivere e fare
business.

Pensi che altri potrebbero seguire il tuo esempio, nella diffusione del
passaparola per la propria attività, nel tuo settore?

O ritieni la tua esperienza peculiare e irripetibile per qualche motivo?

Irripetibile in quanto forse in molti aspetti sono stato precursore e
le mie attività web hanno suscitato interesse spesso più per la loro
novità che per il loro reale valore di marketing.

Non consiglierei a nessuno di aprire un ristorante e mettere 1167 video su YouTube per promuoversi, ecco…

Però molti aspetti, carta dei vini online, menu, interazione continua con i clienti, presenza su forum e comunicare quello che si fa ogni giorno, ecco questo penso siano aspetti che nessun ristoratore o sommelier possa trascurare.

Potresti affermare che hai avuto un incremento delle vendite grazie alla tua attività online?

Se sì, hai voglia di spiegare come?

Diciamo che ogni mese ho almeno una trentina di clienti che vengono da
Burde quasi esclusivamente per conoscere me e dove vengono girati i
video, manco fosse il set di un film!

Moltissime serate particolari con vini ricercati e preziosi hanno avuto poi una partecipazione di pubblico impensabile per un evento promosso in altro modo (Sassicaia e cinghiale , 55 euro, 80 persone, non so come avrei fatto altrimenti a convincerli tutti!).

Poi ci sono tutti i lavori che svolgo come consulente web e enoico per aziende cantine e case editrici e degustazioni e show a pagamento in vari eventi e  manifestazioni (alla stregua di altri giornalisti del settore) il che è un indotto non indifferente e che però afferisce ad “Andrea Gori sommelier informatico” più che alla Trattoria.

In questo senso spesso il blog finisce con essere più il blog del Sommelier Informatico che quello della Trattoria, ma è inevitabile ad un certo punto.

Si sa che il blog, il microblog e i social network sono attività gratuite (a
parte il dispendio di tempo ovviamente!).

Per favorire la conoscenza della tua attività economica hai affrontato anche investimenti di tipo economico (ad esempio, pubblicità tramite Google Adwords)?

Abbiamo speso qualche euro (circa 500 in  un anno ) per la presenza su
di un portale toscano molto importante e decisivo, specie per gli
eventi, una tantum.

Ma per il resto solo tempo, tantissimo, credo di essere sulla media di circa 2 ore al giorno negli ultimi due anni spesi tra blog e social network vari, festivi e ferie inclusi, ovviamente!

Se ti trovassi a tavola con qualcuno all’inizio del tuo percorso, poniamo per esempio un giovane sommelier che sta aprendo una piccola enoteca, quali sono le tre cose che ti sentiresti di dirgli, rispetto al passaparola in rete?

Di non sottovalutarlo e di seguire ogni discussione del vino che passa
in rete, coltivare ogni piccolo contatto e “amicizia” e soprattutto
essere sempre onesti e coerenti.

E di avere pazienza perchè come il passaparola normale, anche quello web “non dopato” ha tempi piuttosto lunghi rispetto ad altre forme di marketing.

Molti non si avvicinano al mondo di Internet perché ritengono che serva troppo tempo, per partecipare in modo serio e fruttuoso alla partecipazione in rete.

Secondo te quanto tempo serve per iniziare?

Negli ultimi due anni ho dato consulenza “informale” a moltissimi che
si avvicinavano al blogging (come del resto è stata fatta a me dai
tipi di Vino24.tv che mi diedero da leggere Naked Conversations, il libro che mi ha cambiato la vita) e ho visto che in realtà se non ci sono preclusioni di fronte alla tecnologia, bastano davvero poche settimane, con l’approccio giusto.

E quanto tempo dedichi tu al tuo blog?

Un’esagerazione, come ti dicevo, almeno due ore al giorno, ovviamente
extra-orario di lavoro!

Infine: cosa c’entra il web con le trattorie e il buon vino?

Tecnicamente niente, ma come tutte le cose che sulla carta ti sembrano
distanti anni luce, alla fine portano risultati davvero inaspettati.

E in termini pratici , credo che almeno nel caso del vino ci sia una
componente di status sociale e condizione economica, chi naviga con
costanza sul web in Italia per adesso sono persone con una certa
preparazione e dotazione economica, due elementi purtroppo
imprescindibili per chi vuole andare per ristoranti e belle bottiglie.

Un etto di marketing (è un etto e mezzo, lascio)?” di Massimo Carraro, ed. Alpha Test, sarà in libreria nel mese di febbraio. Per avere un codice sconto del 20% senza obbligo di acquisto basta una mail.

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Modelli di business, business plan, revenue, profitti e cash flow: ecco di cosa parla questo libro di Amy Shuen.

E se questi argomenti sono riuscito a gustarli perfino io, che di certo non sono quello che mette il business in cima alla lista delle priorità, penso possa valere come una qualche sorta di “dummy-test”! 😉

Ritengo possa essere illuminante guardare ai social network dal punto di vista di “come guadagnano”, e proprio a questo sono dedicate molti approfondimenti, su Flickr, Linkedin e Facebook.

Le cose che mi sono piaciute sono molte, ne elenco alcune in particolare:

– trovare confermato che innovazione collaborativa e innovazione competititiva hanno assi di business diversi

– Google e il web 2.0 in generale hanno portato a un livello di fiducia rispetto a tutto il mondo dell’online fino a qualche anno fa impensabile

– la “democratization of innovation” segna un passaggio in tutti i processi di sviluppo da vertical-gerarchico al learning by doing (e non posso non ricollegarmi al motto di wmg…)

– l’aspetto “social” gioca un ruolo chiave in tutto l’online, in ossequio al principio “people build connections”

– la sezione di “domande tattiche” e “domande strategiche” alla fine di ogni capitolo, ottimo strumento pragmatico per verificare la propria pratica quotidiana rispetto alle tesi del libro

Il libro in una frase:

Quando vi diranno per l’ennesima volta “Sì, sì, bello, bello, ma com’è che si guadagna?” Sappiate che non solo si può fare, ma si può anche studiare.

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La pagina in anteprima di oggi, tratta da Un etto di marketing, riporta l’intervista all’imprenditore Antonangelo De Martini (conosciuto in rete anche come Dema).

Dema, persona di grande cultura informatica, non risparmia alcune note di scetticismo rispetto alle possibilità del marketing dell’ascolto.

INTERVISTA AD ANTONANGELO DEMARTINI (DEMA).

Perché hai iniziato a bloggare per la tua azienda?
Come mai non avete scelto la via del sito tradizionale?

Tutto accadde quando il nostro provider di hosting in America fallì nell’aprile del 2006.

All’epoca il sito aziendale era su Drupal articolato quasi come un blog, ma con molte altre sezioni di utilità come le liste di spedizioni ai clienti, le gallerie fotografiche del campionario etc etc.

Riportato tutto a zero, vista la mancanza di backup ho deciso di aprire un blog su WordPress.com e spostare il dominio demaitalia.com verso la nuova piattaforma.

Direi quindi che non c’è stata una decisione ragionata in termini di visibilità piuttosto che di relazione diretta con il cliente, ma una ragione puramente tecnica.

Apparentemente, il prodotto della tua azienda (infradito, pantofole e ciabatte, giusto?) non sembra essere ricco di spunti per la conversazione.
E’ stato mai per te un problema?

Il problema del coinvolgimento nella conversazione in un settore come il mio credo sia comune a tutti i corporate blog.

Fino a che punto una persona si puo’ sentire legata ad una azienda , anche se questa ha deciso di stare ad ascoltarti?

Francamente avrei auspicato che i primi utilizzatori di blog.demaitalia.com fossero i miei distributori piuttosto che gli end-user ma al momento nessuno usa il blog per commentare e farsi coinvolgere nella conversazione.

Credo che alla base di tutto questo ci sia anche una mia responsabilità, forse dovuta al fatto che non riesco a coinvolgere chi legge.

Tra le piattaforme che utilizzi per la tua azienda ci sono Flickr (condivisione di foto) e Getsatisfacition.com (servizio clienti online, gestito da un service esterno).
Cosa puoi dirci di queste scelte?

Circa un anno fa Pietro e Silvia (googlisti.com) mi domandarono come concepissi l’uso di Flickr come vetrina per il mio campionario e se non usassi impropriamente uno strumento che è nato per la condivisione del lifestream visivo.

Risposi che non avevo aperto un photostream specifico per i campionari di Dema ma avevo integrato le foto del campionario a quelle delle mie vacanze e della mia vita.

La mia vita è il mio tempo libero e il mio lavoro, e dentro il mio Flickr ci sta tutto dentro.

Getsatisfaction.com l’ho scoperto solo un paio di mesi fa, sperimentando l’integrazione di Intensedebate con WordPress.

Lo trovo uno strumento fantastico. Un customer care evoluto e soprattutto trasparente che secondo me dovrebbero adottare tutte le aziende in rete.
Per ora purtroppo è solo in inglese e questo non aiuta, soprattutto perché ha moltissime funzioni che possono disorientare gli utilizzatori meno esperti.

Attenzione: è uno strumento che possono usare solo le aziende che hanno deciso di mettersi in gioco con la rete. Non si possono moderare i commenti scomodi!

E Twitter?

Twitter è fantastico. C’è un piccolissimo problema: per essere efficace hai bisogno di followers e a meno che tu non sia una celebrity è difficile raggiungere una massa critica adeguata.

Tuttavia lo strumento Twitter search, che sempre più persone stanno usando, puo’ fare arrivare traffico al tuo sito e generare un qualche interesse.

Hai mai fatto una seria valutazione economica dell’attività legata al blog, in termini di ritorno dell’investimento?

Sono cose da analisti della Luiss il ROI e tutte le altre menate.

Le PMI sono ancora focalizzate unicamente al loro core business. Francamente non ci si spinge così nel profondo.

A tuo parere, occorre essere appassionati di internet e/o di informatica per avvicinarsi a questi approcci di marketing con successo?

Nel mio caso ha aiutato.

E ti dico che ha aiutato anche il mio approccio totalmente disinteressato con la parte conversante in rete.

Tutte le relazioni che si sono sviluppate con gli abitanti della rete sono nate tra me e loro.

Non ho mai cercato di coinvolgere blogger con l’azienda, come so che fanno molte agenzie, i pay per post per capirci .
Secondo me sono pratiche scorrette e alla fine controproducenti.

Mi viene in mente una citazione famosa di Tomas Milian “Monnezza” ma credo che tu te la sia già immaginata…

Ti sentiresti di incoraggiare un imprenditore agli inizi sulla strada del social web?

Sicuramente sì, con una raccomandazione.

Rimani in ascolto, parecchio .
Molte volte anche un anno di lurking (osservazione senza partecipazione) puo’ non bastare per capire come muoversi all’interno dell’ambiente.

Ancora una volta voglio ribadire però che sono scettico circa il reale coinvolgimento delle persone da parte di un brand.

La mia esperienza è atipica in quanto mixo la mia passione per la rete con la mia attività imprenditoriale e dentro il calderone ci finisce poi alla fine la mia vita,  o quanto meno quello che voglio condividere di essa.

Il catalogo Dema è stato pubblicato su Flickr. Gli interlocutori del trade, cioè i commercianti, i distributori, gli agenti, come hanno accolto questa novità?

Non c’è un problema di riservatezza rispetto a eventuali curiosi della concorrenza?

L’hanno vissuta come uno spazio dove trovare le foto.

Il disorientamento avviene quando dopo le foto di una ciabatta trovano il mio faccione ad un aperitivo con gli amici o in vacanza da qualche parte.

La riservatezza viene garantita da una disclosure del campionario quando ormai i giochi sono terminati.

Nel mio lavoro i tempi sono determinanti per la presentazione della collezione.
Se rendi pubblico il campionario dopo una certa data la concorrenza non puo’ copiare i modelli e riuscire ad andare in consegna.

Infine: cosa c’entra il web con le infradito?

Lo sai che devo ancora capirlo ?

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Questa settimana dedicherò le anteprime dal libro Un etto di marketing, alle 5 interviste che mi hanno gentilmente rilasciato questi signori:

Filippo Berto –  Berto Salotti (Meda, Milano)
Antonangelo “Dema” De Martini –  Dema srl (Lamporecchio, Pistoia)
Andrea GoriTrattoria Da Burde (Firenze)
Gianpaolo Paglia –  Azienda vitivinicola Poggio Argentiera (Alberese, Grosseto)
Fabio Zanet –  Nextink (Torino)

Pubblicate nella terza parte del libro (“Gli esempi in Italia”), queste chiacchierate sono raggruppate in un capitolo secondo me molto importante, intitolato:

“Casi di studio… della porta accanto, tra piccole aziende e trattorie. Le testimonianze dei protagonisti”
.

O davvero pensiamo che i casi di eccellenza da studiare siano sempre e solo Fiat e Barilla (che pure ci sono)?

INTERVISTA A FILIPPO BERTO (BERTO SALOTTI).

Come ti è venuta l’idea di spingere la tua azienda familiare del  settore arredamento con sede a Meda (Brianza), sulle strade del web?

Qual è stato il tuo primo approccio?

Hai avuto risultati subito?

Nel 2000 infatti la mia azienda si trovava ad un bivio, la produzione artigianale e il know-how di 30 anni non erano sufficienti, vista la nostra micro dimensione, ad affrontare le catene in franchising o i grandi del design.

Internet poteva quindi essere il punto di partenza per far conoscere le nostre produzioni fatte a mano e su misura ad un pubblico molto vasto.

Mi sono appassionato molto e non ho mai mollato.

L’idea è nata da mio padre undici anni fa.

Pensava fosse una cosa da fare, se ne parlava molto, e io all’inizio non ero tanto d’accordo (un passaggio generazionale invertito?).

Poi però realizzando il primo sito e vedendo dal contatore alcune timide visite, intuii che questo mezzo poteva farci conoscere.

Col senno di poi, e un occhio agli sviluppi del web sociale di questi anni, ripartiresti allo stesso modo?

In questi nove anni abbiamo accumulato molte conoscenze ed informazioni, non sarebbe possibile partire allo stesso modo, anche perché credo che il web sociale, per avere efficacia in termini di risultato di impresa, si debba basare su contenuti importanti e su solide basi di fiducia e reputazione, fattori che si costruiscono nel tempo.

Quali sono gli strumenti che usi di più per promuovere la tua azienda  via internet attualmente?

Blog, YouTube, Flickr, Twitter, Slideshare,  Friendfeed, Facebook… usi allo stesso modo tutto il web 2.0, oppure hai una presenza differenziata?

La promozione avviene acquisendo spazi on line, (payperclick e siti verticali) e attraverso marketing diretto sul nostro database.

La comunicazione avviene invece privilegiando il sito, il blog, Facebook, YouTube e Flickr.

Il cliente è multicanale, pertanto non è più sufficiente essere in prima pagina per determinate parole chiave per ottenere risultati.

E’ necessario quindi lavorare per rendere la comunicazione efficace sui mezzi dove in questo momento i nostri clienti amano navigare.

Se non è troppo complicato, ci puoi raccontare come hai maturato una  presenza così capillare in rete?

Oggi Berto Salotti è presente in alcune decine di migliaia di pagine.

Il metodo che abbiamo usato, per usare una similitudine, è paragonabile al desiderio profondo di farsi conoscere che si può avere nella vita reale, come ad esempio a scuola o con gli amici.

E’ un desiderio che ci ha portato a bussare a migliaia di porte online, presentandoci con il nostro prodotto, la nostra azienda e la nostra passione.

Curiosità: per uno che deve vendere un divano, quindi comfort,  piacevolezza tattile, proporzioni, colori… tutte cose che bisogno toccare con mano e vedere dal vivo, come può essere possibile  promozionare il prodotto – e magari venderlo – attraverso internet?

Inoltre, qual è il tuo approccio all’e-commerce?

Se non erro solo due prodotti  del vostro catalogo sono disponibili per la vendita online, puoi dirci  cosa c’è alla base di questa scelta?

Ti confesso che ogni volta che vediamo arrivare un ordine online ci stupiamo come la prima volta.

Vendere online un bene come l’arredamento non è facile, soprattutto in Italia, dove tutti siamo più legati al rapporto umano e alla relazione.

Esiste però anche in Italia un gruppo numeroso di persone evolute, che sono ben disposte all’acquisto online, anche per quanto riguarda il mio settore.

E’ necessario offrire loro una gamma di servizi di supporto molto importanti, dai video all’assistenza online, perché le loro aspettative non devono essere deluse, semmai superate.

Sono clienti che ci onorano di un alto tasso di fiducia , il valore oggi più prezioso.

Con il nuovo sito e la nuova piattaforma tecnologica, online da novembre avremo il 40% dei prodotti del catalogo vendibili online.

Domanda obbligatoria: Berto Salotti ha venduto di più grazie alla sua presenza in rete?

Berto Salotti, grazie alla sua presenza in rete, ha moltiplicato per 15 la sua quota di vendite al pubblico in 8 anni.

E’ un dato formidabile, in controtendenza rispetto al mercato sia italiano, sia europeo, sia di distretto.

Aggiungo un’ultima cosa, perché ti so molto bravo in campo  informatico: secondo te, oggi, occorre essere particolarmente preparati/fanatici della rete per riuscire ad attirare l’attenzione  sulla propria attività attraverso il web?

E’ vero, un pizzico di mania o meglio di pazzia è necessario: non sono poi molte le persone che amano passare le serate a lavorare sui propri siti per scalare le SERP!

Il risultato che abbiamo ottenuto è proporzionale all’impegno personale ma anche alla passione per il mondo di Internet e per la nostra produzione.

Credo che, oltre alle capacità tecniche o di marketing che si possano avere, l’ingrediente fondamentale per ottenere risultati sia proprio questo.

L’amore per il nostro mestiere di tappezzieri ma soprattutto la passione con la quale mio padre e mio zio insieme ai ragazzi della produzione hanno portato Berto Salotti ad essere riconosciuta, alla fine degli anni novanta, come azienda di riferimento per la qualità e il su misura, mi hanno spinto a trovare con tutte le forze una strada che potesse rendere merito a tutto il loro sacrificio e gli sforzi compiuti negli anni.

Internet per noi rappresenta questa strada.

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L’anteprima di oggi da Un etto di marketing.

CONTROLLO, PERDITA DEL.

Il marketing dell’ascolto si basa sulla possibilità di integrare, rivedere e persino modificare i processi aziendali in conseguenza a un contributo esterno all’azienda.

E’ logico che una delle possibili conseguenze di questo approccio sia una relativa perdita di controllo della gestione aziendale, nel senso che un’impostazione rigidamente dirigista dei processi è palesemente incompatibile con qualunque possibilità di correzione, modifica, innovazione suggerita nel corso di uno scambio con la propria base di utenti.

In questo senso, il concetto di perdita del controllo va inteso in un’accezione virtuosa, forse meglio definita dall’espressione:

“Allontanamento da modelli e visioni rigidamente definiti e non modificabili, per andare incontro alle esigenze che manifestano i clienti”.

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Anche oggi, una paginetta in anteprima da Un etto di marketing.

Questo argomento, tratto dall’introduzione del libro,  lo sento particolarmente perché mi fa pensare non solo ai problemi dei mercati fra 10 anni (quando i nativi digitali che oggi “vivono” su Facebook decideranno le sorti dei beni di consumo, sia come consumatori che come manager all’interno delle aziende), ma anche ai rapporti genitori-figli.

Quanti padri conoscono la lingua che usano i figli per comunicare con i propri coetanei via telefonino/PC? Secondo me molti pensano sia ancora l’italiano, invece è un misto di SMSese e Facebookiano… ma torniamo al marketing… che al confronto sembra una cosa semplice!!

IMPARARE OGGI LE LINGUE DI DOMANI

Tutto bello, tutto semplice, tutto chiaro, quindi?

Non esattamente.

Non sono molte le “best practice” di riferimento per chi si avvicina al marketing dell’ascolto, però sono fondamentali.

E gli errori che molti commettono derivano quasi sempre dalla stessa cosa: non capiscono il codice sottostante.

Non mi riferisco al poetico “code” di programmazione della piattaforma WordPress, bensì a una forma di etica comportamentale, che ci si aspetta da chiunque si unisca a una conversazione.

Paradossalmente, è la sua semplicità che lo rende, per alcuni, impraticabile.

A mio parere non si tratta di limiti e ottusità personali, bensì di limiti e ottusità delle aziende, che hanno visto strutturarsi, in anni e anni di attività, codici comportamentali diversi, lontani da quelli richiesti nelle conversazioni online.

Trasparenza, immediatezza, curiosità sono alcuni dei concetti-chiave di questi strumenti, e mi duole dire che viene più facile assimilare a molte aziende i loro opposti: opacità, lentezza, diffidenza.

Per questo i giovani sono i più adatti, come sempre quando si tratta di innovazione, a guidarci lungo questi sentieri.

Mi vengono in mente le parole di Clay Shirky, quando nel suo bel libro “Here comes everybody” NOTA6 afferma:

I giovani traggono maggiori benefici dai media sociali, non tanto perché sanno più cose utili, ma perché sanno meno cose inutili.

In un ambiente sociale e umano in cui le cose si evolvono con velocità vertiginosa, come ignorare i nuovi atteggiamenti di comunicaizone che uniscono sempre più persone?

Come non imparare la lingua adottata dai consumatori più attivi e attenti, potenziali evangelisti della marca?

Come non prepararsi ai modi di comunicare imperanti tra i giovani, che nel giro di 5-10 anni saranno i protagonisti dei nostri mercati?

In fondo, si tratta di pochi semplici concetti, quelli enumerati nel manifesto con cui abbiamo iniziato questa chiacchierata.

E di una sincera disponibilità ad accogliere input esterni.

Da qui, molto cose possono succedere.

Impossibile conoscerle a priori, poco avveduto decidere di ignorarle.

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La pubblicazione quotidiana della pagina in anteprima di Un etto di marketing
prosegue.

E PERCHE’ DIAVOLO LA MIA AZIENDA DOVREBBE CREARE UNA COMMUNITY?

Perché non dovresti cercare di individuare un gruppo di persone che fa il tifo per la tua azienda?

Avere una community è questo, e mantenerla significa accettare la possibilità di scambio alla pari che questa situazione comporta.

Non dimenticare che le persone desiderano comunicare con le aziende, e sono disposte a premiare con la loro attenzione e preferenza i marchi che accettano di essere presenti a uno scambio paritario, diretto e trasparente.

Infine, chi accetta la logica del web, ne accetta implicitamente le regole di condivisione e apertura che lo caratterizzano, e l’aggregazione spontanea è parte di questo: non si può evitare né tantomeno controllare.

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Come promesso, continuo con la pubblicazione di una pagina di Un etto di marketing
al giorno, fino alla data della sua pubblicazione.

PERCHE’. MOTIVI E RAGIONI PER ASCOLTARE LA PROPRIA BASE DI UTENTI.

Perché un’azienda dovrebbe imbarcarsi in un approccio che presuppone un investimento certo (anche se limitato) a fronte di un risultato incerto, non misurabile (almeno non con le metriche in uso) e non reversibile (vedi il paragrafo “permanenza delle conversazioni in rete”)?

E’ sicuramente una buona domanda, che rimanda direttamente alla visione del mercato e del business che ha l’azienda stessa.

Una prima risposta pragmatica, potrebbe essere “perché questo è quello che sta avvenendo, con te o senza di te”.

Probabilmente il motivo principale per cui molte aziende intraprendono la strada dell’ascolto è questo, che preso così non è nemmeno l’ideale, in quanto imposta la visione su un atteggiamento residuale “faccio così perché non ho alternativa”, ma direi che è l’ultimo dei problemi, perché in genere si tratta di percorsi graduali, anche di consapevolezza.

Un’altra risposta possibile, non meno pragmatica della prima, può essere “perché i media tradizionali sono troppo cari” (come dichiarato da Minoli della Ducati all’inizio dell’esperienza di community di Ducati).

Anche qui, si vede solo una parte del problema, perché – esattamente come non basta comprare uno spazio televisivo per creare attenzione, non è detto che aprirsi alle conversazioni in rete, senza gli approcci corretti, porti a buoni risultati.

Andando avanti con le risposte, si potrebbe anche citare: “Perché l’innovazione di marketing non può prescindere dal fenomeno di comunicazione che ha travolto il mondo, internet. (Si capirà come questa risposta è quella che preferisco fra le tre).

Proseguendo il gioco, potrei citare “Perché lo fanno i miei concorrenti”, “Perché ho bisogno di sapere cosa si pensa dei miei prodotti”, “Perché mi servono dei modi agili, flessibili e tempestivi per trasmettere informazioni”, “Perché non posso permettermi un ufficio stampa”, “Perché mi incuriosisce”, “Perché voglio favorire una maggior partecipazione all’interno dell’azienda”, “Perché sono i canali di comunicazione dei giovani”…

Ci tengo a dire che, a mio parere, nessuna risposta è sbagliata a priori.

Di sbagliato ci può essere solo il modo in cui si applica, e lì è importante attenersi a qualche piccola regola, tutt’altro che difficile.

Poi, come ogni esperienza di relazione umana, la propria risposta si costruisce facendo.

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