— oh my marketing!

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Kitchen Confidential è la storia di una passione totale e totalizzante di un uomo per il suo lavoro. E’ il racconto di come la passione per il lavoro di chef gli sia nata e cresciuta dentro, fino ad impossessarsi della sua vita.

Ma è anche una lettura spassosa e divertente, ottima compagnia da vacanza, per esempio.

Il libro in una frase:

Pensando a Ogilvy che per tutta la vita ricordò come l’aver lavorato nella cucina dell’Hotel Majestic di Parigi gli insegnò i fondamentali del management, la storia dello chef Bourdain di New York sembra un testo della SDA Bocconi.

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Un libro di Emanuel Rosen, consigliatomi non so più da chi, sull’interessante quanto inesplorato argomento:

How to create word-of-mouth marketing.

How to. Magiche paroline.

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E mi è piaciuto. Per tanti motivi:

– finalmente un business-hero che mette la vita prima del business
– finalmente un modello di business-style che non ha per obiettivo la vendita plurimilionaria stile google (vedi Founders at work), ma la felicità prima di quel momento
– è un progetto lucido, chiaro, teso
– l’autore, benchè self-made-millionaire, ha i piedi per terra, lo senti vicino
– tutta questa cosa – il lifestyle design, i new riches, i mini-retirements, la low-information diet – è affascinante da morire
– c’è humour
– fa sognare, e riflettere
– insegna delle cose, anche se non segui il suo metodo al 100%, puoi trarre moltissimi spunti utili
– è una storia avvincente
– c’è una montagna di online references
– spiega come sottrarsi alla schiavitù dell’email (this only can change your life, dice, e ha ragione)
– introduce ai piaceri dei Virtual Assistants (gente che dall’India ti paga le bollette o ti prepara il materiale della prossima presentazione)
– dice come incrementare la velocità di lettura del 12.719% (c’è veramente, il metodo lo vende una sua azienda)
– il tutto è integrato dai materiali disponibili sul sito

Insomma, è irresistibile. Pensare che ero scettico…

Il 29enne autore del libro, Tim Ferriss, ha anche un blog.

297 pagine in una frase:

Non ammazzatevi di lavoro tutta la vita per scoprire poi che la pensione è una fregatura: potete vivere come milionari lavorando pochissimo, se siete bravini a impostare le cose come vi dico io. Vale per imprenditori e impiegati.

[UPDATE 25/5/2008: Ho visto oggi l’edizione italiana, è pubblicata da Cairo Editore. Mi chiedo come mai abbiamo tradotto il titolo in “4 ore alla settimana”, perdendo il concetto di 4-hour-workweek].

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Una bella metafora dell’agenzia di pubblicità (Gianni Lombardi).

Ecco perché questo libro arriva sul mio comodino, anche se parla della vita di uno chef (Anthony Bourdain, di New York, qui il suo sito e qui se volete guardarlo ingoiare il cuore ancora pulsante di un cobra [!]).

Ringrazio Gianni per la segnalazione e ricordo che anche Ogilvy ha più volte sottolineato come l’aver lavorato nell’enorme cucina di un albergo parigino d’alto livello gli abbia insegnato molto su come si gestisce un’agenzia.

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L’ultimo libro di Seth Godin tratta un simpatico tema: quando tener duro e quando mollare.

Il mitico Seth mette a fuoco il piccolo-grande dilemma che prima o poi ci prende tutti e, con la sua proverbiale abilità e chiarezza, dà delle ottime dritte per capire se mollare tutto subito senza sensi di colpa o – al contrario – resistere nel dip (nel fosso, nell’impasse, nello stallo), affrontarlo di petto e uscirne più forti di prima.

Un libretto (sì, è un libretto che si legge velocemente) costruito in modo netto e preciso intorno a un’idea.

Non un capolavoro ma nemmeno una stupidata. E’ come un bell’esercizio impostato e risolto nel migliore dei modi.

E quando il nome in copertina è Seth Godin, si impara sempre qualcosa.

Il libro in una frase:

Carriera, relazioni, programmi personali: l’impasse assassina può cogliere quelsiasi aspetto della vita… se in questi frangenti avete sottomano questo piccolo libro, ci sono buone possibilità che non finiate vittime passive della bonaccia.

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Un libretto che ti insegna quando mollare e quando tenere.

Scritto da quello che ha inventato il permission marketing, autore del blog di marketing n. 1 per diffusione, uno che quando lo leggo mi incanta ogni volta, o quasi.

The dip, appena uscito, è anche il soggetto di un blog a sé stante, ha venduto 100mila copie nel primo mese, ed ha avuto un tour promozionale in cui Godin ti regalava un suo discorso se compravi 5 libri (oppure se lo pagavi 50 dollari per il discorso lui veniva e ti portava 5 libri… detta così non sembra un gran che, ma il libro è finito nelle classifiche del New York Times, secondo me the man is a fucking genius).

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The biggest problem designers face is fear: fear of clients, fear of failure, fear of ideas. Our ability to overcome fear is perhaps the greatest skill we can acquire. Most bad design is consequence of fear. […] Most of us deal with fear by falling back on the familiar and the safe. But if we do this, we are not allowed to turn around and say our lives are dull.

Adrian Shaughnessy (aka this is real art) chiude così il suo bel libro.

Non posso dire che sia pieno di verità rivelate in modo fulminante, ma mi sento di affermare che si tratta di un testo documentato e approfondito su tutti gli aspetti della professione del graphic designer, dagli aspetti più operativi (this is a book about the grabby bits, dice all’inizio) ad considerazioni di tipo culturale ed esistenziale, sempre trattate con gradevolissima nonchalance.

Il suo punto di vista ha il distacco di chi vede le cose in prospettiva e la competenza di chi ha gestito uno studio di 40 persone per 15 anni.

Ma non è una una star, Shaughnessy è, a mio parere, un fior di professionista, e come tale vale 1000 design superstar.

Molti sono i passaggi profondi affrontati con intelligente leggerezza (per esempio sul fashion-hype su design e designer, che lui paragona alla moda dei… dentisti, cioè inesistente, inutile e inconsistente, oltre che pericolosa – vedi le misfortunes di design stars come Saville o Brody) e moltissimi i suggerimenti preziosi, che fanno capire come l’eccellenza nasca anche dal buon senso e dalla passione per il proprio lavoro.

Oltre alle testimonianze di Neville Brody, Natalie Hunter, John Warwicker, Kim Hiorthoy, Corey Holms, Rudy VenderLans, Andy Cruz, Angela Lorenz, Peter Stemmler e Alexander Gelman, in forma di intervista, nel libro vi sono mumerosi riferimenti per chi ha voglia di lustrarsi gli occhi (e trovare info) in rete.

Ne riporto qualcuno.

DESIGNERS

April Greiman
Barnbrook design
Bruce Mau
Cyan
Hi-Res!
Karlssonwilker Inc
m/m paris

INTERNET RESOURCES

Computer Love
Design is Kinky
Design Observer
Mark Holt Design
Speak Up

CULTURAL AWARENESS

Chicks on Speed
This is a magazine

Il libro in una frase:

Tutto quello che vi serve per essere un graphic designer, eccetto quella cosa che si chiama anima (quella dovete mettercela voi).

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Lavorare un po’ meno è il sogno di tutti (quelli che hanno un lavoro). Tim Ferriss propone la settimana lavorativa di 4 ore (diventando ricchi of course). La propone nel suo libro, e promuove il libro nel suo blog.

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What were the problems that you faced founding your company?

What weren’t they? Hiring people, firing people, understanding our business model, getting customers, servicing the customers, finding office space, scaling the company, staring down competitors, going public, raising money, satisfying shareholders. All in the first nine months. (Bob Davis, fondatore e CEO di Lycos).

Cosa possono avere in comune i fondatori di Adobe, Apple, Blogger, Excite, Firefox, Flickr, Gmail, Hotmail, Six Apart, Yahoo! e svariati altri?

Molto più di quanto si possa immaginare. Questo libro è un fantastico trip nel delirio della start-up versione Silicon Valley, ossia la dimensione più talent-oriented possibile dell’avventura imprenditoriale.

In un certo senso è bello scoprire che i geniali fondatori di queste aziende sono stati (e talvolta rimangono, vedi Wozniak, l’uomo che ha inventato l’Apple dopocena) prima di tutto dei sognatori, dei visionari, degi idealisti al di là dei container di denaro che hanno guadagnato dopo aver venduto le proprie aziende.

Gente che ha iniziato magari sedendosi a un tavolo con gli amici to be a company, no matter what.

Oppure altri che hanno sviluppato progetti, applicazioni, prodotti per pura passione tecnologica.
Quante volte ho letto the product, the product, the user experience, insomma l’amore per quello che ti piace fare, sopra qualsiasi business plan (business plan? sì, dopo, quando tocca andare a chieder soldi ai venture capitalists, allora sì tocca farlo) strategie di marketing (marketing? didn’t have marketing budget, it’s all been grassroots, word of mouth, dice Blake Ross, inventore di Firefox).

Insomma, un affascinante libro di avventure, dove vincono sempre i buoni, perché nella Silicon Valley anche chi perde vince (fallire in un’impresa economica non è visto come una macchia vergognosa, ma come una medaglia in più sul petto).

Il libro in una frase:

Sognate anche voi di essere un nerd sul filo dell’esaurimento per alcuni anni lavorando oltre ogni limite (dormendo 4 ore ogni 2 giorni sotto la scrivania dell’ufficio, per dire) per assurgere poi a popolarità planetaria e sconfinata ricchezza: questo libro ve ne dà la possibilità attraverso i racconti in prima persona di come sono partiti i fondatori di aziende come Apple, Yahoo!, TiVo, Paypal, Adobe e molte altre.

E se volete il parere del marketing guru Guy Kawasaki, lo trovate qui.

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Il titolo fa paura, con quel tono di accademia spinta, e invece questo libro è stato per me, anni e anni fa, una lettura piacevole e anche inspiring. Mi torna in mano per caso e sento un piacevole flusso di pensieri riaffacciarsi al cervello stravolto dalla settimana lavorativa milanese.

La prima frase dell’introduzione:

In questo libro ci occupiamo degli effetti comportamentali della comunicazione umana.

(Per un pubblicitario, un invito a nozze…).

Con quella felicissima capacità dei divulgatori di oltreoceano di saperci portare sulle vette della conoscenza parlandoci come tra amici al bar (o quasi), Watzlawick and friends ci servono con grazia le loro perle di studiosi del comportamento umano.

Cito alla rinfusa:

Tutto il comportamento, e non soltanto il discorso, è comunicazione, e tutta la comunicazione – compresi i segni del contesto interpersonale – influenza il comportamento.

Comunque ci si sforzi, non si può non comunicare.

Le relazioni malate sono caratterizzate da una lotta costante per definire la natura della relazione, mentre l’aspetto di contenuto diventa sempre meno importante.

Del tutto indipendentemente dal mero scambio di informazione, ci pare che l’uomo debba comunicare con gli altri per avere la consapevolezza di sé.

Autori: Paul Watzlawick, Janet Beavine e Don D. Jackson (ricercatori del Mental Research Institute di Palo Alto). Editore: Astrolabio Ubaldini, 1971.

(Paul Watzlawick, psicologo austriaco immigrato negli USA, ha anche scritto il piacevolissimo America, istruzioni per l’uso, oltre all’indimenticabile – fin dal titolo – Istruzioni per rendersi infelici)

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