Sì ma, dove si fanno i soldi?
Per sapere come rispondere a questa difficilissima domanda immancabilmente presente in tutte le riunioni dove si inizia a parlare di strategie di marketing 2.0, mi sono preso questo libro di Amy Shuen.
Read MoreSì ma, dove si fanno i soldi?
Per sapere come rispondere a questa difficilissima domanda immancabilmente presente in tutte le riunioni dove si inizia a parlare di strategie di marketing 2.0, mi sono preso questo libro di Amy Shuen.
Read MoreDopo molto tempo che non scrivo dei libri che leggo, riprendo da dove avevo lasciato: il minicapolavoro di minimarketing. (E’ stato sul comodino appena un anno…)
Essendo Gianluca Diegoli uno dei referenti del nuovo marketing in Italia, ed essendo il suo libro stato scaricato oltre 10.000 volte, mi pare che la rete ne abbia già decretato il meritato successo.
Tento di aggiungere qualche considerazione:
1. Gianluca non solo sa quello che scrive ma sa anche come scriverlo (due talenti al prezzo di uno)
2. La scelta stilistica delle minitesi è una vera chicca
3. Il successo dell’ebook ha le sue radici nella credibilità del suo autore, e questo, a mio modo di vedere, rappresenta la prova provata di cosa può fare una reputazione ben costruita
Non mi sottrarrò all’abitudine di raccontare il libro in una frase, anche se questa volta il libro da definire è lui stesso fatto di frasi 🙂
Se amate il mestiere del marketing ma odiate i mestieranti, spegnete il powerpoint e aprite le orecchie: il Diegoli ci mette pochi minuti a spiegarvi come si fa.
Concludo con un’ultima lode: quella relativa al rapporto quantità di informazione/tempo richiesto per assimilarla. Secondo me solo un pugno in faccia riesce a battere le 91 tesi…
Read MoreNon che ci creda (il titolo di questo libro fa già pensare che il marketing sia qualcosa che si risolve semplicemente con l’uso di qualcos’altro), però sono convinto che bisogna sempre cercare di informarsi prima di parlare.
Read MorePoche pagine, tante idee: il rapportino gratuito di Forrester Reaserch è un ottimo spunto per la conversazione sui blog aziendali, specie in questi giorni in cui la blogosfera italiana elabora il lutto di due chiusure eccellenti: Desmoblog di Ducati e Duck Side di Mandarina Duck.
In sintesi, Josh Bernhoff (coautore anche di un libro piuttosto conosciuto sull’argomento, Groundswell) dice che, negli Usa, solo un consumatore su 6 crede ai blog aziendali, quindi approfondisce come dev’essere un corporate blog per non far scadere la sua credibilità.
Mentre la prima chiave ce la dà già nel sottotitolo della sua ricerca (With Corporate Blog Credibility Low, Blogging Only Makes Sense in Part of a Plan, cioè: ok il blog ma che non sia fine a se stesso), anche le conclusioni sono, a mio parere, degne di nota:
– Non scrivete di voi, ma dei vostri clienti, anzi: dei problemi dei vostri clienti
– Bloggate per i vostri fans, per catalizzarne e valorizzarne le energie
– Parlate delle questioni importanti per i vostri gruppi di riferimento
– Se siete un’azienda B2B, coinvolgete i vostri dipendenti (che conoscono bene le esigenze e i temi “caldi” degli interlocutori di ogni giorno)
– Usate il blog per dare voce umana alla vostra azienda
– Usate Twitter
Infine, Bernhoff sembra strizzare l’occhio con simpatia a quelle aziende in grado di condurre un blog aziendale senza usare toni aziendalesi e contenuti autoriferiti, quando suggerisce che molti consumatori, in questo caso estimatori, sembrano dire:
Certo che non mi fido dei blog aziendali, ma il vostro non lo sembra proprio!
I miei due cents: se concordo pienamente con il suggerimento di inserire il blog in una strategia di ascolto e di partecipazione più ampia (social network, condivisione, conversazioni) – non sono tanto d’accordo che un corporate blog non sia comunque un utile esercizio di trasparenza e disponibilità, perché, come dice Godin:
Ciò che importa è la coscienza di pensare a ciò che volete dire, come vi rapporterete con chiunque leggerà il vostro post, come obbligate voi stessi a spiegare – in tre paragrafi – perché avete fatto qualcosa.
Come ne risponderete, davanti a tutti.
Il rapporto Forrester in una frase:
Read MorePer vedere come si finisce, a fare blog senza impostare una strategia corretta, basta dare uno sguardo oltreoceano, dove sono sempre avanti (stavolta nello sbagliare).
Ha già riscosso un grande successo nella blogosfera, con 2000 download in pochi giorni, adesso ce l’ho anche io.
So già che mi piacerà, perché mi piace molto come scrive l’autore, Gianluca Diegoli, sul suo conosciuto blog (vedi la comodità di avere un blog…), che dà anche il titolo al libro.
Scaricabile gratuitamente qui.
Read MoreNon è proprio un libro, ma un free report di Forrester Research, disponibile qui.
Sottotitolo: With Corporate Blog Credibility Low, Blogging Only Makes Sense As Part Of A Plan.
Beh, non si può negare, anche se
1.
Siamo in Italia e non negli USA, dove la blogosfera corporate ha qualche anno di vantaggio
2.
Seth Godin dice (e io condivido) che bloggare fa bene alle aziende, perché:
Ciò che importa è la coscienza di pensare a ciò che volete dire, come vi piegherete a chiunque leggerà il vostro post, come vi forzate a spiegare – in tre paragrafi – perché avete fatto qualcosa.
Come ne risponderete, davanti a tutti.
L’autore della ricerca, Josh Bernhoff, è lo stesso di Groundswell, libro che a casa mia è andato in libreria senza passare dal comodino (ma per il quale ho pronta la recensione di Gianluca Diegoli).
Fonte: Steve Rubel’s Micropersuasion.
Read MoreDifficile leggere un trattato culturalmente più completo su un tema – se vogliamo – di settore come il marketing.
Ma forse è proprio questa la chiave di Societing: il marketing non è più una questione privata tra chi produce e chi acquista, ma – se riuscirà a rifondarsi, come auspicato da Fabris – coinvolgerà l’intera società, in uno scambio dove le merci fisiche sono soprattutto pretesti per comunicare. E la comunicazione, si sa, è ovunque.
L’impianto del libro è piuttosto vasto, e non nascondo che mi ha messo un po’ alla prova (parentesi di falsa modestia), ma credo di aver colto una completezza non indifferente, in particolare nell’inquadramento sociologico della società italiana, nell’affascinante analisi del postmoderno, nelle prospettive etiche della vera responsabilità sociale dell’impresa.
In particolare sull’Italia, mi ha colpito come ricorrano spesso, nel volume, i condizionamenti tipici delle due egemonie culturali nostrane: quella cattolica e quella comunista.
Due “chiese” che hanno sempre condiviso una visione radicalizzante e demonizzante verso consumi e mercato.
Peculiarità che non credo condividiamo con altri popoli, le cui conseguenze sono sotto gli occhi di tutti, nelle cronache di tutti i giorni.
Peppone e Don Camillo, insomma, sembrerebbe essere la modernità italiana, sulla quale il postmoderno tenta un difficile (e ci credo!) innesto.
Comunque, le nuove dinamiche, spinte e ispirate dalle tecnologie – ma anche da nuovi, inattesi e umanissimi modi di condividere socialità – non sembrano attardarsi troppo su retaggi socioculturali di un secolo fa, e… peggio per chi non se ne accorge.
Il blog dell’autore non fa mistero di posizioni nette e visioni lucide, e fornisce insight interessanti al pari del libro, anche se con diversa profondità.
Societing – Il marketing nella società postmoderna mi ha fatto sentire come sui banchi dell’università (sui quali, peraltro, non mi sono mai seduto), a lezione da un professore curioso, ricco, stimolante, pragmatico, visionario e colto.
Il libro in una frase:
Read MoreL’impresa sta ricevendo dalla società i segnali utili alla riformulazione completa del suo approccio al consumatore: 1. riconoscergli uno status di parità – 2. iniziare ad ascoltarlo – 3. scoprire come interessarlo e motivarlo a partecipare alla vita dell’impresa. Se non saprà ascoltare queste indicazioni, si ritroverà ben presto con il suo marketing in mano, inutile e inutilizzabile come un cerino bruciato.
Queste tre caratteristiche – 1. la contagiosità; 2. il fatto che piccoli cambiamenti possono avere grandi effetti; 3. il fatto che il cambiamento avviene non gradualmente, ma in un momento dato – sono gli stessi tre principi che definiscono il modo in cui il morbillo si diffonde in una classe delle elementari, o come l’influenza colpisce ogni inverno.
Delle tre, la terza, l’idea che le epidemie possano subire impennate o crolli in un momento critico, è la più importante, perché è quella che conferisce un senso alle prime due […]
Quel preciso momento di un’epidemia, quando tutto può cambiare all’improvviso è il Punto Critico.
Ecco da cosa si parte, secondo Gladwell, per capire il passaparola: dall’epidemia.
Una volta che hai capito come si diffonde un’epidemia, beh, puoi anche cercare di provocarla, e credo che il suo libro abbia avuto un certo impatto sullo sviluppo di quella parte di marketing denominata word of mouth (ne abbiamo parlato anche qui, a proposito del libro “Anatomy of Buzz“).
Io l’ho trovato gradevole, piuttosto ben fornito di argomenti, senz’altro interessante nel complesso, anche se non posso negare di aver percepito gli anni che ha (otto).
Questo non gli toglie validità, però – se devo essere sincero – credo vi siano libri successivi (questo, ad esempio) che in qualche modo lo comprendono, magari ampliandone i concetti grazie agli sviluppi che nel frattempo vi sono stati, nella rete e nella società.
Il libro in una frase:
Read MoreAlle basi del marketing virale: un bel viaggio nella storia dei virus. Lasciatevi contagiare, vi piacerà…
Pe me Giampaolo Fabris è un business hero dei rampanti anni 80.
Non lo amavo per nulla, esasperati come eravamo dalla moda delle ricerche, di cui lui era una delle figure di riferimento (hai presente il focus group contro la forza della creatività? Ecco).
Però questo suo libro mi attira, anche perché – al di là di tutto – mi fa sempre piacere trovare riferimenti italiani nei testi di marketing, campo dominato dagli anglosassoni.
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