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In qualità di fondatore di Cowo, ho partecipato ai lavori del Comitato d’Indirizzo per Milano Capitale delle Startup, task force voluta da Comune di Milano e Camera di Commercio per sintetizzare l’approccio della città di Milano rispetto al tema della giovane impresa e – soprattutto  della nascita di nuove aziende.

A inizio lavoro ho scritto qui qualche considerazione, a lavoro concluso vorrei riportare ciò che mi è piaciuto in particolare, e anche una cosa che non condivido.

Mi è piaciuto:

– il dibattito sulla definizione di start up (e qui sono contento che quanto uscito dal gruppo milanese sia più ampio rispetto a quanto indicato dal decreto sviluppo del Governo, in altre parole, a Milano “Startup” è un concetto più aperto e inclusivo che nel resto d’Italia, come sottolinea anche l’assessore Tajani nel video)

– lavorare a un tavolo dov’erano seduti Comune, Camera di Commercio, due società di venture capital, due avvocati, il coordinatore dell’incubatore del Politecnico di Milano, spazi di coworking/incbazione

– portare avanti un’agenda di lavoro in modo efficiente, e qui vanno ringraziati gli ottimi Giacomo Biraghi e Alvise De Sanctis

Non mi è piaciuto:

– quando la discussione è andata sui luoghi di lavoro tipici della giovane impresa e mi sono sentito dire che la tendenza mondiale è quella di accentrare le energie in singoli luoghi; avrò una visione distorta per la diffusione capillare del progetto Cowo – presente in egual misura in grandi città e piccoli centri, e sempre a costi bassissimi o nulli – ma la penso esattamente al contrario: io credo che serva sostenibilità diffusa, sparsa sul tessuto territoriale e quindi aperta, non luoghi unici, soggetti a logiche gestionali impegnative (e a modalità di coinvolgimento per forza selettive).

In ogni caso, un grazie a tutti per il coinvolgimento, e l’augurio che il lavoro dia buoni frutti da subito, già nell’anno che inizia domani.

E per chi vuole leggere il documento, cliccando qui lo può scaricare.

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Domani il Politecnico di Milano presenta i dati 2008 dell’Osservatorio Multicanalità, sullo studio dei nuovi atteggiamenti di consumo da parte delle persone (multicanalità = molti modi di comunicare/proporre/promuovere).

Si tratta di

un’iniziativa lanciata da Nielsen, Nielsen Online, Connexia e School of Management del Politecnico di Milano, giunta alla sua seconda edizione.

E’ già stato annunciato che i clienti multicanale, nel corso del 2008, sono aumentati, anche se di quanto ancora non è dato sapere.

Più in generale, il convegno darà indicazioni e risposte su:

* Evoluzione del cliente multicanale: come è cambiato il suo profilo nel 2008?
* Come sta evolvendo il consumo dei media in Italia?
* Come i consumatori percepiscono le nuove tecniche di marketing?
* Come si stanno comportando le imprese italiane in termini di strategie di marketing multicanale? Esistono best practices o settori trainanti?
* Chi ha realizzato strategie multicanale quali consumatori ha attratto maggiormente?

Come già fatto altre volte (con l’intervento milanese di Philip Kotler, ad esempio, o quello sul made in Italy nel settore dell’arredamento) tenterò di fare il live blog dell’evento (inoltre, credo ci saranno aggiornamenti in tempo reale anche sul sito dell’osservatorio).

Stay tuned!

[Dimenticavo, grazie a Connexia per l’invito all’anticipazione di stasera, magari ci sentiamo su FriendFeed per questo, verso le 18].

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Marketing Reloaded, il gruppo del Politecnico di cui sono evangelist e me ne vanto, ha presentato ieri la sua ricerca

Il Consumatore è Mobile, il Marketing e i Servizi lo inseguono.

Qui l’agenda dell’evento e qui un articolo esaustivo, comprensivo dei risultati della ricerca punto per punto.

Personalmente, non ho dubbi che il mobile sarà protagonista assoluto di tutto, nei prossimi anni.
Sui messaggi per questo canale ho scritto questa presentazione, il mese scorso.

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Milano, 9 ottobre 2008.

Nei locali del Politecnico di Milano sta per iniziare il convegno. Ancora pochi minuti…

Prof. Umberto Bertelé:

Benvenuti: Vedo con piacere che il convegno ha un certo successo. Nel primo invito i giorni terribili erano 7, nel secondo 13, adesso sono un mese, speriamo che si fermino.

Sul tema si può cercare di mettere assieme alcune considerazioni. Abbiamo preso 7 professori del MIP per affrontare il tema sotto diverse angolature…

Questo sarà lo snodarsi dell’intervento di oggi, in cui a parte la mia introduzione, vedremo poi la finanza, l’economia reale e infine i paesi emergenti e i futuri “cambi di peso”.

Abbiamo parlato di “mese terribile” (slide) ecco uno schemino sugli avvenimenti che ci sono stati. 8 settembre crisi di Fannie e Freddie, Lehman Bros fallita ecc ecc fino ad arrivare eventi che hanno influenzato l’andamento borsistico: il piano americano, prima respinto e poi approvato dal congresso, gli interventi di ieri, taglio del tasso di sconto di mezzo punto, intervetnti dei singoli paesi europei a salvaguardia delle banche.

Per proteggere le banche e fermare un meccanismo che, se si diffonde la preoccupazione, può diventare disastroso.

La borsa italiana ha perso il 21,65%, altri settori di più, vediamo l’andamento delle borse mondiali (slide) sul finanziario sarà piu alto, gli effetti li vedremo dopo.

(Slide) Due prime pagine (WSJ, ha anche il bordo nero… funereo.. titoli terrificanti… quello del Corriere “Borse sotto choc, Milano precipita, Banche a pezzi”).

Ora, velocemente: chi sono le protagoniste del pasticcio? Le famose investment banks.. Lehmann Bros è morta, Merril Lynch è stata salvata, Morgan Stanley e Goldman Sachs si sono salvate perà passando a un modello di business di banca normale.

Quello che contrasta, vedendo il materiale distribuito agli studenti gli anni scorsi, qui vediamo cosa si diceva tre anni fa, “investment banks alla grande”… “bonus”, “crescita record” ecc.

Questo ha portato alla situazione di questi giorni.

Cosa è accaduto con la caduta di questo castello di carta, a partire dal crollo dei mutui subprime? Avete visto come sia discesa la proiezione di crescita del pil (a livello mondiale), fino a poco tempo fa la previsione era del 3,9, adesso è del 3, vediamo quindi come l’economia reale inizi a risentire dell’economia di carta.

I valori “trash”: 30 volte il pil del nostro paese.

Il rientro di tutti questi pezzi di carta, qualche problema potrà crearla.

Domanda: come mai è potuto succedere?

Seconda domanda: perché questo è avvenuto in un comparto dove lavorano i migliori laureati e masterini?

Qualche risposta: la concentrazione di potere che ha portato a un abbassamento della soglia di attenzione, poca voglia da parte dei media, abbandono del ruolo di servizio del sistema finanziario e, troppo spesso, utilizzo dell’economia a fini di sfruttamento speculativo.

Anche qualche problema legato alle tipologie di società: public company con management che andava a togliere i contrappesi interni di sicurezza, questo in una situazione in cui erano già saltati i contrappesi esterni.

E, forse, un problema di avidità. Cosa che ha portato ad essere border line, e anche senza border.

Spunti: la discussione su “chi salvare?” Moral hazard.

Inoltre: il fair value e il mark to market, sono indiziati o colpevoli? Dubito che siano colpevoli.

Chi garantisce che al controllo non verranno introdotti elementi di sporcizia uletriori?

Poi c’è il rischio di contagio tra economia finanziaria e economia reale. Rischi: restrizione del credito, calo della domanda (livello interno e anche internazionale), controcontagio (dall’economia reale a quella di carta).

Ci racconteranno anche cosa può accadere in un mondo globalizzato.

Conclusione (slide con Osama Bin Laden): Osama non avrebbe potuto fare di peggio. Le conseguenze non saranno piccole.

Secondo: Breve la felicità di un liberista italiano. Stiamo invocando l’intervento dello stato a ogni piè sospinto, è già finita la brevissima primavera liberista italiana. Il rischio di un’ondata di ritorno dello stato, comprensibile, c’è, ma è pericoloso per il nostro futuro.

Infine: cosa possiamo fare noi? Due cose importanti, 1 riflettere sull’accaduto, 2 tradurre questo nel nostro insegnamento, cercando di far capire ai nostri studenti che la disinvoltura etica non sempre paga e spesso viene punita.

Prof. Fabio Sdogati.

Userò solo 12 minuti. Ho preparato queste slides con Gianluca Orefice, con cui condivido il merito.

Ho un bisogno disperato di chiarire qual è l’origine di questa crisi. E’ da un anno che cerco di spiegare che non è nata da insolventi. Ha creato insolvenza, questo sì.

Distinguo tra origine e natura della crisi. Origine: rapporto tra banca centrale statunitense e banche. La gestione: come è stata gestita dalla banca centrale USA e come fosse inevitabile che il Tesoro intervenisse. La Banca Centrale non ce la fa più. Quindi il ritorno dello stato è comprensibile, oltre che condivisibile.

Le origini profonde di questa crisi. Sono da rintracciare nella politica monetaria strordinariamente espansiva da parte della banca centrale USA, dal 1988. Noi abbiamo parlato bene di Greenspan, non è carino parlarne male ora, ma sappiamo che espansioni drammatiche come queste inducono individui e banche a indebitarsi.

Vedete l’andamento dei mutui 15ennali, il tasso (silide) vedete che sono in caduta dagli anni 90, non abbiamo avuto tassi elevati che abbiano portato a insolvenza.

Il secondo pregiudizio che vorrei sfatare è che le banche USA hanno dato a presti a clienti insolventi. L’ho sentito stamattina al GR1, Questione di soldi. Non è vero. Si saranno rivelati poi insolventi, questo sì, ma poi.

Come ha funzionato? A fine luglio 2007 le banche centrali hanno cominciato a fare subito quello che ci si aspettava da loro: hanno cominciato a introdurre liquidità. In 2 modi diversi: la BCE non ha tagliato il tasso di rifinanziamento e di sconto e però a un certo punto la BCE perde il comando sul mercato interbancario. Questa è una crisi del mercato interbancario, quando si continua a immettere luquidità e i tassi continuano a salire c’è un problema.

Questo è un problema di fiducia. E da dove viene? Viene dal fatto che alcune banche provano a vendere cose che hanno comprato a 1 dollaro e si accorgono che il loro prezzo è di 20 cent.

Se è così, questo è un problema delle banche.

Allora io dico: i mutui aumentano perché le banche sul mercato interbancario non si prestano più soldi.

Si vede (slide) che il mercato interbancario scambia, improvvisamente, solo a tassi molto elevati.

Su questo problema del sistema bancario occorre interventire per far ripartire condizioni di credito normali.

Il TARP (Trouble Assets Relief Program) dice che il governo deve comperare titoli tossici.

Quesito: a quale prezzo? Non c’è mercato per questi titoli…

Effetti possibili della crisi dal finanziario al reale: ricordo che negli anni 30occorsero 36 mesi prima che il tasso di disoccupazione toccasse il suo picco.

Prof. Stefano Preda.

[E’, oltre che ordinario del Politecnico, Presidente di una banca].

Io non mi dedico alle tematiche che abbiamo appena visto, condivido molte cose sull’origine finanziaria della crisi, vorrei dedicarmi ad alcuni temi che non sono stati trattati e ad altri che mi hanno evocato i precedenti interventi.

Vorrei tornare sulle origini della crisi. Secondo me, andando indietro alla fine degli anni 80, troviamo un grande problema, l’abolizione della divisione che era stata alla base del la soluzione della crisi del ’29, la separazione tra banche d’investimento e banche normali. Si confondeva l’attività di raccolta e prestiti con un’attività (speculativa) che nulla aveva a che fare con questa.

Anche qui in Europa si è arrivati alla banca universale come modello vincente.

Quali erano i noccioli della crisi? Tutta la vigilanza è rimasta impostata per la banca tradizionale. Ancora oggi, il tema è “dobbiamo cercare di difendere i depositanti e far sì che la banca mantenga un equilibrio”. Nella storia, credo non si trovi una banca fallita per la qualità del credito. Quando sono saltate per aria è sempre stato per attività proprie. Questo tema deve essere risolto. E’ il tema principale in Europa. Non più in USA, perché sono sparite, il problema si è risolto da solo. Sono fallite o cambiate.

La forza di una banca sta nella raccolta retail.

E’ successo che mentre le prime (banca tradizionali) sono state soggette a regolamentazioni di tipo patrimoniale, che hanno limitato la capacità di moltiplicazione dei mezzi amministrati, le seconde (investment banks) non hanno mai avuto questo limite, perché non considerate banche commerciali. Quindi sono arrivate a prendere 50-60 dollari di attività a rischio per ogni singolo dollaro di patrimonio, anche di più. Cosa succede in questi casi? Che se la valutazione di quei 50 dollari cambia del 2% quel patrimonio non esiste più.

Oggi la gran parte dei problemi sono dovuti al fatto che le atttività a rischio di un certo genere sono invendibili.

L’innovazione finanziaria spinta ha permesso di passare a un modello in cui le banche affidavano, con mutui, in modo sostanzialmente irresponsabile, perché poi impacchettavano i rischi assunti in pacchetti – fuori dai bilanci – che poi venivano venduti ad altri investitori. A quel punto la quantità di incentivazione che avevano le banche per fare operazioni di questi tipo era diventato enorme.

Il sistema è entrato in tilt perché questo era favorito dalle società di rating – le quali o non lo capivano o avevano business collegati – ed anche dalle autorità. Facciamo chiarezza. Il fatto che esistessero pacchetti del valore di centinaia di miliardi fuori dai bilanci si sapeva molto bene.

Inoltre è stato aiutato dal mark to market, che viene aiutato quando c’è liquidità. Se non c’è un mercato liquido devo fare molta più attenzione.

L’autoregolamentazione, in questi casi, non va bene. Le autorità devono fare il loro mestiere.

Poi c’è l’etica. Ma se non c’è non si può darsela (anche se lo spavento a volte sostituisce l’etica).

Gli stati stanno facendo bene a: 1 aumentare la liquidità, 2 favorire la tenuta delle banche, 3 ampliando l’ombrello di assicurazione dei depositi.

Secondo me c’è una cosa che bisognerebbe fare: introdurre una cassa di compensazione tra le banche. Finché le banche non si fidano tra loro…

Infine, revisione delle regole. Non bisogna piu permettere che con 1 lira se ne prendano 100, non bisogna più permettere dinamiche che permettano di arricchirsi in 3 giorni invece che in una vita di lavoro…

Prof. Marco Giorgino

Come anticipato, cercherò di affrontare l’effetto di tutto questo sul sistema delle imprese, sia internazionalmente che internamente.

Partirò da un fatto: l’aver riempito le banche di attivi che a scadenza si sono rivelati non all’altezza ha creato problemi di costo del funding, in tutto il mondo.

Le banche oggi hanno molti meno soldi propri che possono mettere a disposizione del sistema. In particolare, vediamo che c’è una diminuzione e che alcune banche sono al di sotto delle soglie minime.

Per alcuni casi (slide) vediamo perdite di valore molto consistenti, da inizio 2008 a oggi ci sono perdite anche dell’80% in alcuni istituti. Ci sono state ricapitalizzazioni, ma insufficienti. Sono casi esteri in quanto da noi uccede, anzi succederà, solo ad Unicredit.

Situazione italiana. Ci sono istituti che evidnziano manifesti bisogni di ricapitalizzazione. Fa eccezione Mediobanca, non è una banca tradizionale, se ne è parlato come soggetto che potrebbe guidare un’operazione di risanamento.

Slide sulle performance delle banche italiane negli ultimi 12 mesi: tutte giù.

Alcuni casi USA: crescita improvvisa della raccolta, ma anche di alcune banche euroee ed italiane. Parliamo di un aumento considerevole del costo della raccolta fondi per le banche.

Nessuno ha più fiducia di chi gli sta di fronte.

La differenza tra il tasso sul mercato interbancario e quello sui titoli di stato. Quanto è più alto questo spread, tanto più alto è il costo (e anche il rischio). Il valore è superiore al valore massimo degli ultimi 40 anni.

Allora quali sono gli effetti sulle imprese?

Procederò per flash. Il portafoglio impieghi delle banche italiane. Quasi il 55% è per le imprese, poi vengono le famiglie, poi le altre banche.
Quindi se devo limitare la capacità di erogare, ogni volta che perdo liquidità, perdo possibilità di erogare.

La situazione non è facile, perché le cartucce delle politiche di impiego delle banche sono spuntate, e limitate.

Questo si traduce in una riduzione forte del finanziamento alle imprese che più ne hanno bisogno, un’impresa che non ha fieno in cascina a sufficienza può trovarsi dalla sera alla mattina senza mezzi.

Altra cosa che si sta verificando: incapacità di fare pricing. C’è fatica a dare un riferimento, un prezzo, perché è difficile fare una valutazione, e quando lo si fa lo si fa al rialzo. Oggi indebitarsi sul breve è una politica scellerata. Le imprese che possono aspettare è bene che lo facciano. Sul breve c’è da perdere molti soldi.

Cosa si può fare? Dare una ricetta credo sia difficile. Sono contrario ai fondi alle imprese. Politiche sulle banche… può avere senso. Garantire stabilità a quei soggetti bancari che hanno dimostrato stabilità.

Vorrei chiudere con una slide che è uno spunto di riflessione.

Stiamo attenti. Perché la storia ci dimostra che dove ci sono crisi a livello bancario, tempo 12 mesi la crisi si ripercuote sul sistema delle imprese.

Politiche di intervetno pubbliche: fanno bene? Nella slide vedete alcuni interventi pubblici a livello mondiale, gli effetti a 3, 6, 12 mesi. In alcuni casi la relazione è positiva, la crisi però oggi è diversa. Forse varrebbe la pena di intervenire in modo molto molto deciso, subito.

Prof. Gianluca Spina, direttore del MIP.

Veniamo alla domanda: ci saranno impatti di questa crisi sull’economia reale? Beh, ci sono già, due dati dell’ultima settimana: Volvo taglia 4000 posti di lavoro, Renault 6000, BMW e Daimler chiudono due impianti, la Fiat aumenta la cassa integrazione. Impatti già visibili.

In questo quadro, le altre notizie sono state già ricordate, mi soffermo solo sulla revisione della crescita globale da parte della BCE, da 3.9 a 3%. Comunque, un dato di crescita, e questo è posititvo.

Posizionamento dell’Italia rispetto a questo scenario macro.

Negli ultimi periodi ha dato segni di ripresa, ma questo non ha fatto altro che accentuare il divario dell’Italia a 2 velocità, servizi, pubblica amministrazione, stato, che marciano lenti, e poi una parte del sistema di imprese esportatrici che hanno ottenuto successi importanti, più veloci.

Se ricorriamo ai basics, i fattori che determinano la capacità di stare sui mercati globali: costo del lavoro, costo dell’energia, tassi di cambio e… disponibilità di credito, di cui si parla ultimamente molto ma fino a poco fa non era nemmeno un tema.

Nell’analisi di questi fattori parto dall’ultimo.

La disponibilità di credito è un fattore che è diventato critico nelle ultime settimane, ha impatto variabile a seconda delle dimensioni delle imprese, si possono prevedere consolidamenti e concentrazioni industriali, già a partire dal 2009. Imprese in grado di impadronirsi di concorrenti per poche lire, lo faranno. Potrebbe anche essere un processo, benché doloroso, in qualche modo positivo.

Il costo del lavoro: in Italia se ne parla sempre, ma vorrei citare un dato. Nelle 2000 maggiori società italiane, il costo del lavoro sul fatturato è sceso dal 17,8% (1996) all’11,5% (2007). Il problema vero che c’è sotto è il risvolto sul potere d’acquisto dei salari e della domanda interna.

Costo dell’energia: 4 mesi fa non parlavamo tutti i giorni di finanza, ma parlavamo di petrolio. Era 150$ al barile 2 mesi fa, oggi è a 85$, quindi volatilità estrema. In Italia il costo dell’energia è più elevato che nel resto dell’Europa, per una serie di fattori.

Tassi di cambio: Dollaro verso 1,2 euro? Con un cambio odierno a 1,36 e profezie per fine anno a 1,2 lo scenario dell’export potrebbe essere più favorevole.

La mia ultima nota fa riferimento all’impatto delle liberalizzazioni mancate in Italia. Il costo stimato per l’economia del paese è di circa 20 miliardi l’anno = – 1,3% nel pil, non è una piccola differenza, con pure un impatto forte sui consumi, di una mancata crescita di oltre il 2%.

Prof. Sergio Mariotti.

L’Italia, con la Germania, è il maggior paese manufatturiero europeo. Questo è un buon segnale, nel senso che la nostra economia si basa su manifattura, anche se abbiamo capito che la crisi c’è e ci sarà.

Però bisogna capire che tipo di manifatture abbiamo.

Primo elemento di riferimento: relazione tra modello di specializzazione e crescita del commercio estero.

In certi casi è migliore, ma l’Italia non è legata ai trend emergenti dei modelli di specializzazione. Siamo in difficoltà, gli asiatici sono quelli che stanno meglio.

Il secondo elemento che vorrei fornire è questo: i flussi sono stati determinati dagli insediamenti di multinazionali, particolarmente nei paesi emergenti, area pacifico, India, Cina ecc. L’incidenza dei paesi avanzati è venuta sempre più riducendosi. Anche qui siamo in relativa difficoltà, siamo a un livello che è decisamente inferiore anche alla Spagna.

Questo fatto non solo riguarda i valori assoluti, ma anche le aree di insediamento delle nostre imprese manufatturiere. Il nostro modello di espansione internazionale è baricentrato sull’Europa, il Mediterraneo, i balcani, l’Europa dell’est che non i paesi asiatici, che com’è noto stanno trainando l’economia internazionale.

Cosa stava succedendo? Qualcosa di interessante: nel numero di operazioni all’estero da parte delle imprese italiane negli ultimi anni, da 2000 al 2007 c’è stata una ripresa delle attività e un incremento del valore della taglia media delle operazioni.

Medie e grandi imprese italiane manufatturiere, cioè, nei primi mesi dell’anno avevano iniziato un processo di ricomparsa sui mercati internazionali, un segnale positivo, seppur debole.

Ora la crisi finanziaria ci rimette al palo. Cosa fare? L’unica indicazione che posso dare è che… la necessità aguzza l’ingegno, ma senza denari l’ingegno può non essere sufficiente. Avevamo iniziato un processo virtuoso che sta rischiando di inteerrompersi.

Una battuta: ho capito chi era che costruiva le armi di distruzione di massa: non Saddam in Iraq ma le investment banks a New York!

Prof. Giuliano Noci.

Flash: da uomo della strada… in questo anno è crollato un archetipo ecomnico e finanziario, quello USA, e anche un modello di trasparenza, Abbiamo capito come fosse… tutto meno che trasparente.

Dichiaro fin da subito la mia preferenza per la parte orientale del mondo.

Le mie tesi, da uomo di marketing: la storia politica ed economica di Cina e India li aiuterà a meglio tollerare la crisi che si può verificare. Perché? I timori di un surriscaldametno dell’economia conseguente alla grande crescita economica in corso ha fatto sì che si auto-dotassero di meccanismi di regolametnazione migliori e più forti.

Il baricentro dei sistemi di potere finanziario ed economico si stanno spostando verso est.

Blogosfera: vediamo (slide) che il rumore di fondo su questi temi è aumentato di circa 7 volte, indipendentemente dai paesi.

Cina: il mercato dell’auto è crollato del 6% in agosto, contro un tasso di crescita del 12% precedentemente.

Russia: economia quasi monocorde basata in pratica esclusivamente sull’energia. Lo stato immette enormi quantità di denaro.

India: situazione critica anche lì.

Credo tuttavia che questo disaccoppiamento (paesi emersi vs. emergenti) in termini di economia reale ci possa essere. Cito il FMI: crescita economie consolidate: 0,6%, Cina +9%.

Laggiù sta diminuendo l’incidenza dell’export. Cina ha visto crescere l’export verso USA del 6%, mentre verso i peasi del BRIC del 60%

Inoltre: il volano dei consumi interni: in questi paesi i consumi interni sono triplicati.

L’export verso gli USA ha incidenza semrpe inferiore (Cina: 5%, 4% India, 1% Russia).

Le imprese, anche USA, che crescono di più sono ora quelle che hanno una presenza significativa in questi paesi.

Crisi in cinese si dice Weiji.

Wei = pericolo, ji = opportunità.

Alla luce della crisi internazionale, pare che il problema di contenere l’inflazione possa esssere meglio gestito.

Ricordo che la Cina ha risosrse di liquidità pari a 1,8 trilioni di dolari. Non si sa mai che la Cina non usi queste risorse per soccorrere l’economia americana. Avrebbe anche degli incentivi a farlo: sostenere un volano della crescita come quella USA sarebbe una opportunità anche per i cinesi. Inoltre debbono tutelarsi, la Cina è il secondo investitore americano, potrebbero volersi difendere. Infine: potrebbero volersi cullare nel grande sogno di entrare nell’aristocrazia delle superpotenze mondiali.

Domanda di Giuseppe Pugliese.

Mi pare che nello scenario mondiale le banche italiane non sono messe peggio delle altre. Può esser un’opportunità?

Domanda di ing. Pavone.

La mia sensazione è che questo tipo di cirsi sia di moralità, di legalità. Al di là degli stratagemmi tecnici, siete d’accordo?

Altra domanda.

Con uno spread tra tasso di immissione di liquidità e taso interbancario, dove finisce la liquidità che sparisce?
Poi: la finanza non ha più nessun legame con l’economia reale, quanto durerà questa ubriacatura, questa cecità?

Risponde Sergio Mariotti.

Per il isg. Pugliese: Teoricamente, qualche piccolo vantaggio, limitatissimo, ci potrebbe essere.

Poi… dove finisce la liquidità? Potrei rispondere con una frase a effetto: acqua ce n’è tantissima, ma neanche una goccia per bere. Rimane dentro le banche che le impiegano overnight dentro le autorità centrali.

Per questo insisto che il tema chiave è riattivare l’interbancario con un meccanismo di garanzia.

Moralità: certo che sì. Forse anche di legalità, ma lo vedremo forse più avanti. Il problema moralità ha a che fare con l’individuo. Se potessimo immaginare un sistema controllato per una moralità diffusa, potremmo fidarci. Io credo che siccome ci sono forti incentivi a privilegiare posizioni individuali rispetto alle colettive, il sistema di controlli sia poco adatto. Importante intervenire sui sistemi di incentivazione. Ricominciare dalla scuola, dalla famiglia… ma ci vuole tempo.

Fabio Sdogati:

Moralità. Preda è stato stupendo quando ha parlato della regolamentazione. Sappiamo che dal 1988 la regolamentazione, negli USA in particolare, scompare. Il mio problema è che l’autorità di politica monetaria adotta una politica che dice “Il mercato sa. Non v’è bisogno di regolamentare”. Non si va più in farmacia con la ricetta, si compra liberamente, over the counter. Si tratta al telefono, fra traders. Il punto cetnrale è che la banca centrale USA sta riscrivendo, a questo proposito, il proprio statuto.

Quando i mercati riprenderanno a fare prezzi ragionevoli? Solo quando non ci saranno più rapporti incerti, causati da atteggiamenti speculativi. Poi i bilanci delle banche, che devono essere più realistici. Quando saranno chiariti questi contesti ci saranno più possibilità e meno speculazioni.

Domanda:

Abbiamo parlato della Banca. E le assicurazioni, come stanno?

Domanda del sig. Marsicano:

Prof. Bertelè, sul tema dell’avidità. Sono stato bancario ma non banchiere… c’era questo fenomeno che anche le centraliniste godevano di certi vantaggi. Vorrei far notare che i risparmiatori vogliono l’arricchimento facile. Quindi non vanno educati solo gili imprenditori, ma anche i risparmiatori.

Domanda di Antonino Geria:

Mi chiedevo se secondo voi è significativo che la FED sia sotto un solo governo mentre la BCE sotto molti, inoltre… (la seconda domanda l’ho persa).

Altra domanda:

Volevo sapere quale sarà l’effetto dell’immissione di liquidità sul tasso di inflazione reale nei prossimi mesi.

Umberto Bertelè:

Chi vuole rispondere sulle assicurazioni?

Silenzio.

Risata generale.

Stefano Preda:

Credo che in questa crisi si debbano distinguere due cose: i soggetti e la qualità dei prodotti. Nei soggetti italiani non ci sono grossi problemi, sui prodotti la risposta è ovviamente differenziata. Mi sentirei di dire che non abbiamo problemi di solvibilità nel mondo assicurativo. Se posso dire una cosa, non sono d’accordo con chi ha detto che le banche non hanno responsabilità nel vendere prodotti inadeguati ai clienti, non si può incolpare i clienti avidi. La banca ha una responsabilità oggettiva.

Umberto Bertelè:

Sul tema etica e regolamentazione, io credo che siano necessarie entrambe. Ci devono essere dei modi… quando la società apprezza chi non si comporta bene, questo ha un valore. Muoversi quindi verso una sensibilità maggiore… io personalmente lo ritengo importante.

Altro relatore:

Non dimentichiamoci che i sistemi economico-politici a maggior tasso di corruzione sono sempre stati quelli a maggior tasso di regolamentazione. Non pensiamo quindi che l’iperregolamentazione porti automaticamente a comportamenti etici.

Sergio Mariotti:

Volevo parlare del carattere particolare dell’innovazione finanziaria. Hanno effetto di rete. Mi spiego: se sbagli a erogare una medicina muore solo il malato, se sbagli la misura finanziaria muoiono anche le persone vicine al malato. I farmaci sono sottoposti a fortissime regolamentazioni, le innovazioni finanziarie no. Devono essere regolate. Punto.

Stefano Preda:

Etica.

Una banca del midwest americana erogava mutui a condizioni molto favorevoli a famiglie che altrimenti non avrebbero potuto avere una casa. Non etico? Non so.

Poi questa banca metteva questi crediti in pacchetti che faceva valutare a società di rating, che li valutavano sulla base di modelli statistici correnti. Non etico? Non so.

Poi questi pacchetti venivano acquistate dalle tesorerie, visto che erano certificati come redditizi. Non etico? Non so.

In nessuna di queste cose, secondo me, c’è qualcosa che non va. Ognuno fa il proprio mestiere. Ma è il sistema degli incentivi che è sbagliato. Quella banca del midwest non fa i mutui che si può permettere, ma 100 volte tanto, e così la società di rating e così avanti… fino a che qualcuno a detto: attenzione: quella montagna di carta non vale più niente.

Questo per dire che secondo me se non si tocca il sistema degli incentivi, sarà difficile che tutto questo non ricominci daccapo. Non è necessariamente un tema di riprovazione sociale, ma di intervento sui sistemi degli incentivi.

Fabio Sdogati:

Una forte risposta inflazionistica ci sarà [ho perso parte dell’intervento] al momento della stabilizzazione.

Marco Giorgino:

Che in un paese come gli USA non ci fosse una spinta così forte su un cliente debole come la famiglia non si può pensare… è una delle concause di tutto questo.

Una battuta sull’etica: non si è mai citato il termine sanzione. E’ vero che i nostri figli potrenno crescere con un’etica migliore, ma forse intanto dovremmo parlare anche di sanzioni.

Gianluca Spina:

Non sono completamente d’accordo sull’inflazione in aumento come detto da Sdogati… lui accenna a una stabilizzazione, già questo… quando? Il tema dell’inflazione non sarà solo legato ai temi dell’apprezzamento dell’Euro sul dollaro, ma anche sulle materie prime che ne sono state finora il driver primario.

Ore 19. 50, fine dei lavori.

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Milano, 17 giugno 2008.

Presso la sede Bovisa del Politecnico di Milano, sono in attesa dell’inizio del convegno con Philip Kotler, superguru mondiale del marketing (qui la sua pagina su Wikipedia), per iniziare la cronaca del convegno (live blogging se preferite…), come annunciato qui.

Non so ancora come sarà gestita la questione della lingua, credo ci sarà una traduzione simultanea. Vediamo.

Approfitto di questi attimi libero per ringraziare il bravissimo Andrea Boaretto che mi ha fatto trovare un posto nelle prime file, grazie Andrea!

Introduzione di Umberto Bertelè, Politecnico di Milano

Vedo che il nome Kotler ha attirato oltre 2600 iscrizioni… bene! Chiederei al prof. Kotler di entrare.

(applauso).

Philip Kotler:

Thank you, can you hear me? (no) Ah, this is a matter of technology…

You’re making me feel like a rockstar… it’s a mixed audience from many kind of businesses. Let me make you a point… without powerpoint.

Some time ago, a CEO asked me to sign a book. I looked at it and… didnt’t sign it. It was a book I wrote in 1967, I refused to sign it!

I asked him “do you like the chapter on the Internet?”

(risate)

He said: “Are you trying to sell me a new copy?”

I’m just saying to you one thing: “marketing changes”.

Marketing passed through 5 stages:

1- Marketing, at first, really meant selling. A fancy name for selling. It’s more than that, mktg starts before you’ve got something to sell.
2 – The four Ps, and the idea of the marketing plan, where we begin to create a brand management.
3 – Segmentation, targeting, positioning, STP. If you went to another country, you’d have to define very carefully your target…you have to recognize that markets are made of many different targets, and then create a position. Volvo = Safer.

These first 3 stages were still limited, about “how to get an order,” but we don’t want just that, we want “to own a customer”… that brings us to:

4 – Customer relationship mktg, it’s very simple.
5 – Now we’re moving towards a new idea: to create products together, we called them co-creation, most companies don’t do that, they’re engineer-driven, but now I ask the customer to help me buy the product.
Doritos mada a contest, “if you like Doritos shoot a video, a 30 secs” lovely. The ads were better than ad agencies’.
It’s about building dialogue, a relationship.

New expression: CCDVTP (!).

CCD = Create Communicate Deliver
V = Value (seen from the customer)
T = Target
P = Profit

At first, I was always thinking about physical products, but later evolved into services. Some people would say, we’re hotels, lawyers etc.
So we evolved from goods-centered to service – centered.
Everything is about service, goods are just a platform for service.
But even more important is experience. Going to a bank is an experience, is it good? Bad? What does it look like?
Dress the experience, stage it.

This is good also for B-to-B companies. Give your clients an experience. Have them try your thing.

Transformation is what happens to people: how do we go from “print guy” to “happy guy”.

You can market places. In Ireland they have a ministry of marketing, he runs 3 groups: tourism, investment, export.

Sports, entertainment, you can market people: Madonna, Tiger Woods…

Now we’re marketing ideas. The environment. Fitness. Stop smoking. In China I just read they have a new campaign because of the Olimpics. They want people to be nice: no spitting, non dropping cigarettes, wait for the green light to cross the street…

We also market information: Google is free – they make money on the adverts – but info can be sold. What the stock price is on the stockmarket? I would pay for that.
I might want to know the sport results. More people own cell phones than computer. This is called mobile marketing.

If you’re dating a women you are marketing… for a wedding, or for something else (risate).

It’s a basic process. It calls for sensitivity. Best marketers are empathetic, that’s more than listening. Empathy. And marketers have to be more creative because they get copied very fast. Innovations are copied immediately.

One more point about Italy: many of your business are small. Small businesses don’t use marketing, they’re not sure they need it. Well…

1 – A marketing person is not there for the short term, but to plan the future, so you’re forecasting the future business, as a guide and a business developer.
2: It’s a guide for the sales people, mktg people make ads, go to trade shows, put up a website, so the sales people know where to head to. And also marketers help identify people’s needs.

Take doctors, some of them – in the old days – were interested in effective medicines, others more in ski trips, That’s a different need.

But, what’s the “A-Ha! experience”?

Soemone makes dog-food. Four kinds of dog-food. One for the small dog, one for the medium-sized dog, one for the big dog, one for the very big one. Then someone comes along and says: stop demographics, it’s the attitude towards the dog. People love their dog. Other people hate their dog. So, see, shifting the way you look at the market can get a new insight.

There are cultural differences. How do you read the cultural code? Interesting about basic mktg concepts. Years ago we were excited about the concept of positioning. Every product = one word. Volvo = Safety.

It gets boring, when you hear their adverts, after a while. So the ad agencies say: vary the way you say it.

Now the new view is: you should be ready to change what you say according to whom you are talking to, because all of it is true. Like a diamond, a company/product has many faces.

Points of parity vs. points of difference, as compared to your competitors.
Points of parity, you don’t talk about; points of difference, you say some.
Sort of letting people figure. You have to be honest. Authenticity: real, genuine. So much marketing let that concept go.

Last thing, before conversation time.

It’s strange to say you love a company. But, then: think about a sport team. “Fan” is a short for “fanatic”.
Anyone in the audience can name a brand Italians love?
(Io rispondo)
Apple!
Right!
More… Google. Raise your hand if you would be sorry if Google disappeared…
(si alzano molte mani).

I would like to do a study about the companies people love in Italy. Maybe women would say Zara.

In a book about companies people love, Firms of Endearment, I found these evidencies:

They do a good job for clients, for employees, for suppliers, for stakeholders
They hire carefully, train well, keep their workers long
They spend less in marketing… that’s interesting: you know who does the marketing? People do. Word of mouth!

What will the sales people of the future will be?
I don’t need the salesman anymore, I can get info on the web, select the two brands I’m interested and then see just 2 salesman. That’s it.

Salesforce will change.
And the price is becoming more and more important, because we are entering a recession.

So, keep your price where it is, but add more benefits, free.
Or, lower your price to create a second and third version, Good, Better, Best. Price points.

So maybe you’ll have to figure out ways to lower your price, not necessarily under your brand.

Professor Pralahad – whose excellent work is focusing on poor people – is concentrating on how to make products cheaper. The 100 dollar computer, the 10000 dollar car, 1 cigarette at the time. Part of the future marketing will be marketing for the poor people, and make money in the process. [C.K. Prahalad ha parlato a Milano alcuni mesi dopo. Qui la cronaca del suo intervento].

Fine dell’intervento. Parlano ora:

Carlo Rossanigo, Microsoft
Ingmar Wilhelm, Enel

Rossanigo:

It’s a honor. About simplicity. It’s becoming key Many companies put it at their center of positioning. It seems like complexity is becoming an obstacle. What do you think?

Kotler:

It probably is because a lot of engineer-designed products are excessively complex. Also perfectly and technically explained to the client. Too much, most of us don’t use 10% of the features of our computer.

We are doing a study now, asking team of engineers/marketers “what are the frictions, what do you argue about?”
Engineers always feel forecasting are wrong, they want to know everybody will love their product.
Part of making better products is making them simpler.

Wilhelm:

My company is a newcomer on the energy market. Choice of energy supplier is something new. My question is about this double contradiction: we have a mission which is: sustainable products, lower consumption, increase business volumes. How can that be accomplished… sell less and earn more?!
Moreover, environmental issues are important now, so how can we promote our product, while convincing people to change their attitude towards consumption?

Kotler:

Other industries live the same contradiction: alcoholics. They want you to drink less, sensibly. Same contradiction as you. Kraft foods would like you to eat less fattening foods. In these cases you don’t have a choice, you do the right thing.
You probably will have to raise your prices.

In the States we have an energy company that will charge you more if you’re interested in getting energy which is produced with sustainable methods.

Prices are part of the solutions, but sustainability will have its costs. Tom Friedman, author of the book “The World is Flat” is happy to see gasoline prices go up, because prices are the real thing that will make us consume less.

Rossanigo:

A recent mantra we hear everywhere is “Markets are conversations”. People in and outside companies talk about products. People talking to people. We in Microsoft have many internal bloggers, too. How do you see this evolution?

Kotler:

I compliment Microsoft for being brave enough of letting people speak up in corporate blogs.

Everyone can be a blogger now. Three types of bloggng:
1 – personal blogging, that’s how it all started, private, family/friends things
2 – influential, when people that want to be influential
3 – corporate blogging

Switch from monologue to dialogue. True marketing is really a conversation, vocal or mental, but is a conversation.

Ford CEO started a blog about cars. It’s fine. When you do blogging you discover other ways, like podcasting. Audio files of about 15 minutes, you can listen to podcasts about anything… and you download them, then you listen to it while you drive, whenever. That’s a stronger selling approach, it’s one-way not two-ways, but it should be part of the ways you use to approach your audiences. Worth considering.

Wilhelm:

Internet and blogging is also part of the energy world.
Lots of sales are accomplished through the web for us, surprisingly enough.
Developing internet services we get close to “domotics”, organizing our homes in a technological way.
I wonder if it’s a technical barrier or a cultural one, that keep people from adopting such solutions.

Kotler:

I’d advice you give price reductions to people with less consumptions. That’s the contradiction we were talking before. Good citizenship approach.

This idea of giving metrics, the weighwatchers industry… metric-conscious, so anything we consume it is not so good, so the problem may be to engage people in consuming less or better… home automation is a brilliant frontier for new services and offerings.

Rossanigo:

Information overload. Lots of email, sms, IM, contacts… lot of noise and little relevancy. How can technology help both consumer and companies isolate relevant informations?

Kotler:

Some young people tell me they don’t use email anymore, just IM. The real question is how do we filter? There’s a movement called permission marketing, be ready to click on “unsubscribe”.

Each of us should get involved in time management, There are courses. CEOs say: I want the marketing plan to be summarized in one page.

The head of a country, you wonder how much he should read before she takes a decision. Everybody is coping with this.

Wilhelm:

Marketing is considered from important to dangerous in our company.
Having just started, what would you recommend to a 45,000 people company willing to build a customer-centric organization?

Kotler:

How to you redesign your company to customer-centric? Many people tell me that if they started from scratch they would have built a different company. I suppose companies should be built around the customer from the beginning.

Take retailers. Take Zara. Company is customer-centric if salespeople are customer-centric.
They do mistery shopping, and see what you get as a customer when you walk in a Zara shop.

Take hospitals. Many of them are not patient-centric.

I think it’s a general question: how do we get a better service, atmosphere? Do design. If you don’t have a different way to differentiate yourself, do design. Bang & Oluflsen. There are positions called President of Design. That’s esthetics.

Rossanigo:

The quest for free products, free services, free solutions. For how long people will ask for free contents… and how companies can handle this in a profitable way?

Kotler:

Yes, it’s a problem that touches rights-management. There are issues about pricing, but the point is: when a free newspaper comes along, who is going to pay for a real newspaper?

It’s gonna be a problem for companies making bits, not atoms. We would like to say to market: “please respect the fact that you’ll be better off if you pay for something”, but it’s not going to work. I don’t know.

Look, how can Rolex stop people doing 1-dollar watches looking like Rolexes? I don’t have any easy answers.

Chiara Terraneo:

In Italy, marketing is not so relevant to many small and medium companies, how can this be changed?

Kotler:

Look, if I were to start a business, production and salespeople would not be enough. Marketing started 80 years ago to help salesamen, by creating reaserch, creating advertising, creating names of people who may be interested in product. So, that’s what you are going to need, no way.

Best way for small businesses is maybe buy a little marketing consultancy.
Getting some marketing-ness through a consultancy can be better than hiring a marketing team.

A lot of entrapreneurs are their own worst enemies.

Andrea Colaianni:

Multichannel marketing: customers are more and more asking for it, but Italian companies don’t seem ready. What are your feelings about this?

Kotler:

Yes, there is an explosion of channels. Now, each place may create a different view of the product. Bu somehow you’ve got to protect consistency by trying to control in what kind of channel your product end up.

How can you do that? Now we call every channel a “touchpoint”. One-to-one marketing, it’s all about knowing a lot about your single customer, so the single touchpoint should furnish me data. Profitability of every single channel. You might be loosing money through a certain channel.

Luca De Felice:

Integration between marketing design and social networking: can it be the mix for future approach to the company-customer relation?

Kotler:

Future marketing is about experiential marketing.
Web is about to play a larger and larger role in our lives.
The magic word is metrics. Talking about websites, measure, you can get all kind of data. There’ll be an increase in online selling, even dentists find dental chairs online.

So, that’s going to hurt the stores. But you have to consider, whether your product is ok for the online, and your website is designed for it, pay attention to that.

Seconda parte.

Eugenio Perrier, Barilla.

Chi fa il nostro mestiere si sta interrogando sui nuovi strumenti, che a volte ci creano anche qualche imbarazzo.
Anche in Barilla, stiamo cercando di costruirci esperienze in questo tipo di mondo. Recentemente abbiamo approcciato una esperienza che ha dato risultati significativi, grazie alla tecnologia.

Il prof. Kotler ci parlava di co-creazione alla costruzione del marketing/comunicazione: noi abbiamo fatto un esperimento su un nuovo prodotto ancora non sugli scaffali, co-creandone il nome.

Abbiamo voluto provare a chiedere a 40.000 utenti di Mulino Bianco se ci aiutavano.

La risposta è stata superiore alle nostre aspettative. L’iniziativa “Un biscotto in cerca di autore” ci ha portato 21.000 proposte di nome, con un feedback dal 15% del database.

A questo punto li abbiamo fatti votare, e c’è stato un plebiscito a favore di uno dei nomi. Tutto questo a fronte di una piccola fornitura di biscotti e di un invito, per il vincitore, all’avviamento di produzione… nulla più.
Abbiamo scoperto la grande voglia della gente di partecipare.

Bertelè: C’era un notaio che controllava?

Sì, certo. Ero anche preoccupato per cosa sarebbe successo se avessero scelto un nome che a noi non andava bene… invece il nome scelto è stato perfetto.

Giuliano Noci:

Decisamente emblematico del potere della rete. A Dario Bassetti (CEO Indesit) chiedo di illustrarci l’esperienza di un CEO che vede le tecnologie cambiare.

Dario Bassetti:

Due punti di vista diversi. proverei a parlare di processi d’acquisto e poi dei prodotti, di come la tecnologia li impatta.

La definizione della tecnologia che mi piace: moltiplicatore di spazio-tempo. Ci fa fare le cose prima, ci mette in connessione da lontano ecc.

Tutto questo nel processo d’acquisto degli elettrodomestici è molto presente. Una volta si andava in un negozio, si sentiva il commesso e si seguiva lui. Oggi il consumatore cosa fa? Guarda il sito in rete, che è il primo venditore, (in Russia o UK ancora più che da noi), poi guarda i blog, per vedere cosa si pensa della lavatrice X del frigo Y. Quando arriva sul punto vendita, ne sa anche di più del commesso.

Prodotto: ci sono dei consumer insights molto forti.
Dammi una lavatrice che lavi sempre di più.
Un frigorifero che “ammazzi” germi e batteri.
eccetera.
Tutto ciò passa attraverso la tecnologia.

Design, personalizzazione, ergonomia, tutela dell’ambiente… per realizzare tutto questo serve tecnologia.

In conclusione, sia dal punto di vista del processo d’acquisto che da quello del prodotto, la tecnologia è assolutamente fondamentale.

Giuliano Noci:

Giorgio Brenna, CEO Leo Burnett: come cambia il vostro modo di comunicare con i vostri clienti? Come stanno cambiando il vostro lavoro, le tecnologie?

Giorgio Brenna:

L’unico legame tra Leo Burnett e Kotler è che sono entrambi di Chicago. Basta.

Nel marketing e della comunicazione, credo che la tecnologia sia sempre stata poco capita, vista come una minaccia allo status quo del business.

Questo sta cominciando ad applicarsi da qualche anno, le agenzie sono state le piu elefantiache nell’applicazione delle nuove tecnologie. Nuove tecnologia significa riorganizzare il processo di lavoro.

Se pensiamo a un 30 secondi, se lo giriamo in digitale inceve che su pellicola, vediamo che questo spot può avere un effetto interattivo, per arrivare a una co-creation.

Questa tecnologia richiede un utilizzo di professionalità diverse. La comunità non ha aiutato, ha pensato doprttutto a difendere le professionalità acquisite.
Ora il gap però non riesce chiudere la velocità di reazione. I consumatori non aspettano che le aziende si ristrutturino.

Le aziende e le agenzie devono organizzarsi in modo molto flessibile, le gerarchie classiche non possono affrontare queto tipo di sfide. Le competenze devono essere nuove e innovative ma non devono essere usate in maniera un po’ cialtronesca, scusatemi.

Il prof. Kotler ha detto delle cose, fra le righe, importanti: bisogna tornare alle teorie, allo studio, alle professionalità.

Giuliano Noci:

Massimiliano Orsati, assessore del comune di Milano: il prof. Kotler ha detto come l’Irlanda abbia un ministero del marketing [qui ho perso qualche battuta per far uscire il mio vicino di posto…] cosa sta facendo lei per affrontare la sfida e l’opportunità per il comune di Milano rappresentata dall’Expo?

Massimiliano Orsati:

Facciamo marketing “interno”, rivolto a chi abita Milano e a chi spesso non conosce la sua città, oltre che esterno. Io vivo in Bovisa da sempre e oggi sono felice che ci sia tutto questo. Partendo da un quartiere che esce da 20 anni terribili, oggi riesce a rilanciarsi e ad essere conosciuto nel mondo, sì la Bovisa inizia a essere conosciuta nel mondo.

Sono curiosissimo di sapere il nome del nuovo biscotto… comunque, a parte questo.

Expo: un grande strumento e acceleratore di processi, per tutto il paese, un inizio di politica seria di promozione e di marketing. Perché? Semplice: fino agli anni 70 l’Italia era il sogno di tutto il mondo, poi man mano tutti si sono mossi ma noi no.

Cosa deve fare l’Italia? L’Irlanda ha recuperato 40 posizioni nel ranking mondiale… con una storia infinetisimale rispetto alla nostra.
Qualcosa sta cambiando, grazie anche al modo di lavorare che abbiamo intrapreso per vincere l’Expo: tutti hanno capito l’importanza del progetto e lavorato gomito a gomito facendo squadra che coniugasse esperienze ed eccellenze di tutti i soggetti. E il risultato è arrivato.

Ricordiamo cosa è successo in Coppa America, anni fa: Napoli contro Valencia, Napoli troppo sicura di vincere, Valencia fa una rimonta pazzesca e vince.

Noi non abbiamo sottovalutato nulla. Abbiamo fatto 18 volte il giro del mondo in due anni, per il marketing abbiamo utilizzato la strategia di testimonial stranieri che ci sostenessero, quindi non autoriferita.

Dobbiamo sfruttare questi 7 anni per dotare il nostro territorio di tutti i servizi di cui ha bisogno, le strade, le piste cliclabili, e quant’altro.

Quindi ritengo fondamentale per la promozione di un territorio avere progetti bandiera che le unisca senza alcun tipo di distinguo, questa è la ricetta vincente.

Umerto Bertelè:

Eugenio Perrier: come interpretate il marketing esperienziale? A parte le 40.000 email dell’inziativa citata, avete un’idea di quela si a la vostra commnity e come interagite con blog eccetera?

Eugenio Perrier:

Un’esperienza molto interessante è stata quella del temporary shop fatta con Alixir, nuova marca, nuovo posizionamento.
Abbiamo deciso di utilizzare la sua originalità anche per provare cose diverse, come un temporary shop.

Se è vero che vogliamo creare un legame duraturo con il cliente, è importante avere un momento di confronto diretto.
Per fare questo abbiamo voluto andare al di là dei piani di mktg classici. Una cosa importante è credere, essere convinti di un prodotto che abbia la capacità di un beneficio diverso, fuori dall’ordinario.
Un contatto, quello del temporary shop, dove ci siamo messi a disposizione delle persone che sono venute a visitarci.

Il percorso all’interno dello shop verteva sulla salute, ma anche in modo piacevole, attraverso la leva del gusto.
Il tipo di rapporto instaurato è stato molto importante, e insieme allo shop abbiamo sviluppato un progetto scientifico, che vuol essere un sondaggio sullo stato di salute degli italiani in collaborazione con l’Istituto Regina Elena di Roma. Per dare rilevanza all’indagine servivano 5.000 risposte, che abbiamo raccolto nello shop, ma la cosa straordinaria è che dal sito di Alixir, senza nessuna spinta né incentivo, sono arrivate più di 30.000 risposte.

Bertelè:

Che strumenti di ritorno avete?

Perrier:

In termini di risultati, premettiamo che i 40.000 di cui parlavo prima si è trattato di un test che abbiamo voluto mantenere circoscritto. In realtà se volessi coinvolgere il pubblico su un piano allargato con una marca come Mulino Bianco forse dovremmo darci obiettivi nell’ordine delle centinaia di migliaia e forse milioni. Nel caso specifico non abbiamo misurato il ritorno, ma il test ci è servito per capirne il potenziale.

Bertelè:

Due curiosità per Bassetti di Indesit.
Voi siete un’impresa che si è estesa ad est, come avete giocato il tema delle marche in modo differenziato nei vari paesi?
Seconda cosa, il discorso dei blog. Vi conosco e so che vi comportate benissimo, ma avete la sensazione che qualcuno giochi in modo scorretto in questo ambito?

Bassetti:

Per le marche, Indesit è n. 2 in Europa e n. 5 al mondo. Ogni giorno 60.000 famiglie comprano un elettrodomestico, in tutto il mondo.

E’ stato un bel rebus, dal punto di vista delle marche. In genere si procede in due modi: o come le coreane, costruendo sulla propria marca; oppure acquisendo aziende all’estero, come abbiamo fatto noi (acquisendo Hotpoint in UK) e trovandoci poi a gestire marche diverse.

Alcuni nostri concorrenti hanno 20-25 marche.

Oggi la pubblicità è cara, costa tantissimo. Giorni fa parlavo con il presidente di una grande multinazionale coreana, e gli ho chiesto qual era il suo principale problema di marketing al momento. Mi ha risposto: la pubblicità troppo cara.

Noi abbiamo creato tre marche, divise sui segmenti di mercato.

Quindi una brand architecture corretta, quella che diceva il prof. Kotler: good, better, best. Può sembrare semplice ma non lo è.

Seconda domanda: sicuramente noi siamo attenti per ciò che riguarda i nostri blog. Ci succede a volte di trovare sui siti tipo Youtube filmati dove gli elettrodomestici funzionano male, e chi sia chi mette questi filmati non si sa.

Bertelé:

Brenna, ho una sensazione curiosa, su professionalità non proprio giuste nella vostra impresa, o sbaglio? Inoltre, può portarci qualche confronto e qualche caso interessante e operativo di comunicazione di marketing?

Brenna:

Sono d’accordo che la pubblicità è cara, purtroppo o per fortuna. Purtroppo perché… ne possiamo parlare, per fortuna perché crea delle barriere all’ingresso. Inoltre è cara quando non dà i risultati sperati. Troppo spesso non ci sono metriche. Anch’io faccio una citazione: Henry Ford diceva che fermare la pubblicità vuol dire fermare il tempo.

Le misurazione dei click, delle pagine viste, degli spettatori dell’auditel… queste non sono metriche proprio giuste, vanno create delle medie.
Qualcuno dice che il vero ritorno sono le vendite. Io faccio anche un passo in più: dico che sono i profitti.

Parlerò del caso del lancio di Fiat 500, 9 milioni di utenti registrati.
In fase di lancio, il dott. Marchionne disse la Fiat 500 può essere personalizzata in 500.000 modi. Era vero. E’ stato un caso di co-creation, francamente inaspettato.

Anche qui, il ritorno di questo investimento è stato calcolato in modo innovativo, in pratica è stato ritoccato verso l’alto il prezzo, questo è secondo me il ritorno vero.

Per rilanciare la palla a Dario, un’operazione analoga anche se più piccola, è stata fatta sul frigorifero Graffiti, co-creato da Indesit, dalla nostra agenzia e da una piccola comunità di utenti.

In Italia ci sono grandi eccellenze, anche nel settore della pubblicità, ma non valorizzate. Ma all’estero fanno merchandasing delle loro cose in modo molto migliore del nostro.

Bertelè:

Ultimo intervento dell’assessore. Come gestite il fatto che la maggior parte delle leve per la promozione del territorio non dipendono da voi? E in generale, come pensate di utilizzare le nuove tecnologie per gli obiettivi del comune di Milano?

Orsati:

Sulla prima domanda, vi racconto un aneddoto. Il giorno prima dell’assegnazione dell’expo, i nostri competitor (turchi) hanno distribuito a tutti i commissari una autorevole rivista inglese che riportava in copertina i rifiuti di Napoli, e all’interno il primo servizio era sulla mozzarella alla Diossina.

Per le tecnologie, stiamo sviluppando un portale innovativo dal qule gestire direttamente tutte le prenotazioni aereo-hotel-shopping, e secondariamente la Tourist Card provvista di chip ricaricabile via internet.

Intervento di chiusura lavori di Giuliano Noci:

“Processo al marketing tradizionale, perché scappare dal fortino”.

Un fortino è senz’altro quello dell’advertising.

L’altro è il fortino della segmentazione. E’ ancora valido?

Cosa c’è che non va?

Quali sono le cause per cui il mktg è prigioniero di questo fortino?

Come uscire dalle secche del mktg tradizionale? E dove dirigerci?

E infine, di cosa ci dovremo ricordare, quando saremo liberi.

Vediamo.

La realtà è diversa da quella che il marketing pensa. Prima di tutto: le tecnologie digitali stanno diventando Caput Mundi.
L’adv online cresce del 40%. 25 milioni di italiani navigano 41 minuti al giorno (Nielsen).
Anche i numeri sui blog sono impressionanti: 3 milioni in Italia, l’italiano è la 4a lingua piu parlata nella blogosfera.

Kotler diceva: i telefoni cellulari sono già ora 2 miliardi e mezzo. Noi abbiamo voglia di inventare tutti i subnotebook da 200 dollari che vogliamo, ma dobbiamo pensare che se potremo dare a un miliardo di indiani telefoni da 40 dollari, il mobile diventerà un canale pesante.

Ma non c’è solo tecnologia, le tematiche ambientali sono molto molto sentite (seguono dati).

La società cambia, il marketing no. In altre parole, la società ha modalità più veloci di quelle implementate dalle aziende.

In particolare, quello che non funziona è in questa chart: l’80% degli investimenti pubblicitari è ancora su tv e stampa. Qualcosa non torna. Le imprese sono al palo.

Altra chart: Il 44% dei consumatori europei afferma che le proprie esperienze di consumo sono anonime.

Tasso di fallimento dei novi prodotti negli USA: 95%.

Tuttavia i CEO sostengono (chart) che le customer experience sono soddisfacenti nell’80% dei casi.
Percentuale di clienti che concorda: 8%.

Percentuale di italiani irritati dalla pubblicità: 47%.

Questo mi fa dire: sicuri che il futuro del marketing sia ancora nell’advertising?

Come scappare dal fortino:

1 – interrompere la sequenzialità del processo di marketing

2 – cambiare i sistemi di misurazione delle performance

3 – demolire i silos organizzativi (= isolamento di chi fa marketing e il reto dell’organizzazione) e competenze non adeguate

4 – risolvere la frammentazione delle filiere (manifattura e retail ad esempio, oppure frammentazione tra chi gestisce la comunicazione, chi ci dà la tv, chi ci dà internet adv ecc)

Piano di fuga.

Abbiamo acquisito alcune consapevolezze. Driver di tipo tecnologico:
– tutto andrà su internet mobile, con l'”internet of things” (possibilità di integrare diverse tecnologie bluetooth, wifi, tcp/ip ecc)
– come cambia il rapporto impresa/mercato – il 60% delle persone ritiene che la fonte più affidabile sui prodotti siano i peers, informazioni reperite soprattutto nei canali digitali
– numero di canali abitualmente usato dai giovani italiani (dato censis): 6.
Solo 4 anni fa c’era solo la televisione.

Dove scappare: i 4 punti cardinali.

1 – organizzazione e competenze (suggestione: quanto marketing in un’impresa deve essere fatto dal reparto marketing e quanto da tutti gli altri?)
2 – la metrica, le misurazioni: serve qualche grimaldello che ci permetta una visione più allargata, con un set di variabili
3 – multicanalità
4 – network di valore – we is more than I

La meta.

– Creare esperienze di marca, con la consapevolezza che l’individuo prende decisioni nel 70% dei casi su basi emotive

Cosa fare da uomini liberi?

C’è indubbiamente di che divertirsi. Parliamo di marketing open-source. Il cliente può essere protagonista dell’innovazione. La vera domanda è come farlo.

Cosa ci possiamo portare via da questa ciacchierata?

Il marketing assume una prospettiva ad alta definizione.
Perché deve diventare un marketing real time, dobbiamo cercare di raggiungere l’individuo quando è più vicino a noi.

Inoltre, il marketing deve essere discreto. Dobbiamo evitare quel pushing esasperato che stiamo vedendo fare, perché la gente non ne può più.

E poi generare coinvolgimento.
L’engagement diventerà l’elemento cruciale per vincere la partita.

Mi sbilancio.

Il marketing in futuro sarà molto meno advertising, e dovremo sviluppare quella capacità di ascolto che si sta dimostrando fondamentale.
Infine, la fossa che ha portato i marketer ad Alcatraz: l’accountability, la dimostrazione che non stiamo spendendo ma stiamo investendo, e infine un’accountability di tipo ambientale.

In chiusura, ci viene proposto il video tratto da YouTube:

“DEATH OF A TRADITIONAL MARKETING MODEL”.

[youtube=http://www.youtube.com/watch?v=6qpU5X9mpUk&hl=en]

Ore 17:40, fine dei lavori.

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