Open source (dal libro).
Di tutte le voci contenute nel libro che sto scrivendo, questa è una di quelle che mi dà una leggera sensazione di disagio. Credo sia perché parte da un terreno che non mi è familiare, anche se un po’ lo bazzico: quello dei programmatori. E anche il punto di arrivo finisce lungo, quasi nella sociologia, anzi, nel societing. E comunque sia, l’ho letto e riletto e mi pare che abbia un senso.
Chissà se qualcuno passa di qua e mi dice la sua. Grazie in anticipo.
Open source
Quando i tecnologi individuano un trend epocale.
Questa voce, nell’ambito del marketing dell’ascolto, ha due possibili interpretazioni: la prima riguarda le basi storiche di questo movimento tecno-intellettuale, alla base di tante applicazioni usate ogni giorno dalla community aziende-consumatori; la seconda ha risvolti più ampi, con influenza nell’atteggiamento generale dei consumatori verso le marche.
A livello storico, il movimento open source (definizione che sostituì nel 1997 quella più ambigua di “free software”, che poteva significare sia gratuito che libero) si è sviluppato intorno a coloro che difendevano l’idea della libera condivisone del codice sorgente dei programmi, contrapponendosi all’approccio commerciale del software proprietario (venuto dopo, in quanto l’idea di condivisione del software nasce con l’informatica stessa), il cui uso era possibile solo attraverso l’acquisto delle licenze.
Il primo eclatante risultato di questa visione fu raggiunto grazie alla potenza di Internet – nel 1991 – con il sistema operativo Linux, subito distribuito online e che, proprio per questo ha conosciuto ampia diffusione, e un alto livello di perfezionamento.
Questo precursore delle esperienze successive di Mozilla (la fondazione non-profit che ha portato alla creazione di Firefox, il browser Internet entrato nel 2008 nel Guinness dei primati per aver battuto tutti i record di download) ha creato le premesse per l’ approccio condiviso e collaborativo che avrebbe poi informato tutta la rete attraverso l’onda dei blog e dei social network, a loro volta assi portanti di nuove visioni economiche quali la coda lunga e le teorie collaborative della wikinomics.
E qui entriamo nel secondo aspetto, quello che ha influenzato significativamente la nostra visione del rapporto marche-consumatori.
Se non vi fosse stato l’open source, che potrebbe essere maccheronicamente tradotto come “un prodotto valido, creato insieme, disponibile a tutti a costo zero” avremmo poi maturato, come consumatori, la consapevolezza necessaria a “fare da soli”, attraverso le conversazioni?
E a livello economico, se non ci fossimo resi conto, come “gente comune”, che un prodotto valido può non costare nulla, saremmo mai arrivati ai voli low cost, ai prodotti discount, al modello freemium (prodotto base gratuito, prodotto aggiuntivo a pagamento, come ad esempio i telefonini gratuiti per chi fa un abbonamento), alla rivoluzione dell’industria discografica creata dai brani scaricabili in digitale?
—
“Un etto di marketing (è un etto e mezzo, lascio)?” di Massimo Carraro, ed. Alpha Test, sarà in libreria a fine gennaio 2010. Per avere un codice sconto del 20% senza obbligo di acquisto basta una mail.