Ho letto “Internet è il nemico”.
E’ passato un sacco di tempo da quando dissi che avrei scritto le mie impressioni su “Internet è il nemico”, ma questo non significa che il libro mi abbia annoiato o mi sia dilungato nel leggerlo.
Al contrario, nonostante una struttura un po’ singolare (si leggono le discussioni sulla Rete di Assange con tre attivisti della libertà dell’informazione online), la lettura mi ha affascinato.
Poi è emerso il Datagate, il caso sollevato dall’analista Edward Snowden, che – guarda caso – sembra confermare con la brutalità della testimonianza diretta (per chi non lo sapesse, ricordo che Snowden ha fornito molte notizie inquietanti sulla pervasività delle informazioni assunte dalla NSA, l’agenzia per la sicurezza del governo americano, oltre ogni rispetto della privacy e senza alcuna autorizzazione) quello che un po’ tutti abbiamo pensato, in qualche momento:
E cioè che i nostri dati online sono visti, registrati, schedati (e la lista dei verbi potrebbe continuare in modo sgradevole, citerei solo “vendere” per esempio) da una moltitudine di soggetti, dai governi nazionali alla multinazionali a… chiunque ricco o potente abbastanza da potersi permettere di acquistare tali informazioni.
Certo, il mio è uno sguardo superficiale su una questione che più complessa non potrebbe essere, ma in fondo vengono in mente le parole di Pasolini quando, parlando delle stragi di stato, diceva:
Io so i nomi dei responsabili (…). Solo che non ho le prove.
Se pensiamo come sono inadeguate le leggi sulla privacy rispetto alle effettive realtà della Rete.
Se pensiamo come sono inadeguati i decisori e i legislatori rispetto al progresso tecnologico.
Se pensiamo come siano assurde le leggi italiane quando si tratta del web (provate a fare un concorso online se non ci credete).
Se pensiamo ai mostruosi interessi economici, politici e di ogni genere dietro la “fame di dati personali”.
Se pensiamo alla potenza e alla raffinatezza degli strumenti tecnologici attuali (e alla loro evoluzione continua).
Se pensiamo alle parole di Eli Pariser su “The Filter Bubble“:
Se su Internet stai usando un servizio che non costa nulla, significa che il prodotto in vendita sei tu.
Se pensiamo a tutto questo forse lo sappiamo tutti.
Solo che non abbiamo le prove.
In ogni caso, il libro vale la pena di leggerlo, anche per lo sguardo da insider che offre sul mondo degli hacker, sulla loro etica, sulla loro visione del mondo.
In fondo Internet l’hanno fatta loro..
…e l’hanno fatta per tanti motivi, compreso che era divertente. Poi aziende come Google e Facebook hanno costruito modelli commerciali basati sulla cattura dei dati personali degli utenti. (pag. 71).
Tra le tante cose per cui vale la pena di leggerlo:
– la rassegna dei sistemi per la conservazione dei dati a disposizione di governi ed organizzazioni (sempre di più, a costi sempre inferiori)
– il punto di vista critico sulla strumentalizzazione mediatica di temi quali il terrorismo, la pornografia, il riciclaggio e la guerra alla droga – i cosiddetti “cavalieri dell’infocalisse” – per far passare provvedimenti liberticidi e incostituzionali
– [su una nota più leggera] il curioso spaesamento di questi abilissimi informatici che, dopo aver passato le vita a trovare sistemi per criptare dati e identità, si vedono centinaia di milioni di persone spiattellare le loro vite sul social network di turno
Infine, il libro in una frase, come provo a fare sempre:
Se pensate che il grande fratello sia qui, proprio qui dove io e tutti voi scriviamo, e dove io e tutti voi leggiamo, forse pensate giusto. Ma cerchiamo di non perdere la fiducia: forse la notizia che il giornalista del Guardian che ha fatto scoppiare il Datagate è sul punto di lanciare una piattaforma di giornalismo investigativo con il finanziamento dal boss di Ebay Omidyar ci dice che, nella Rete, qualche anticorpo forse c’è.
Buona lettura, e speriamo bene.