Dopo il #VeneziaCamp. Riflessioni sul coworking.
Con il senno di poi, capisco che la presentazione che avrei dovuto tenere ieri al VeneziaCamp era un’altra.
E non lo dico solo perché le slides che avevo preparato hanno fatto le bizze e alla fine ho presentato senza… no, è che pensandoci dopo avrei dovuto semplicemente dire:
Questo è il coworking secondo il progetto Cowo.
Tra poco sentirete il coworking secondo 22a22 di Firenze, secondo Mod-o di Pordenone, secondo Studiodz di Bassano del Grappa, secondo l’Ordine degli ingegneri di Verona. Senza dimenticare il nostro ospite – anche lui parte della rete Cowo – il parco scientifico tecnologico VEGA.
Perché è così: ognuno fa del coworking ciò che vuole, secondo una personale e libera interpretazione.
Questo lo rende un progetto incredibilmente vivo, in grado di esprimere contenuti diversi nell’ambito di un’idea di fondo.
Quando noi diciamo “la scrivania è solo il punto di partenza” intendiamo proprio questo: dopo aver affittato un desk, magari vien voglia di far succedere qualcosa.
E se in molti casi questo “qualcosa” non è nulla più di un caffè o una pizza insieme (da non disdegnare, se avete lavorato da soli a casa lo sapete), è bello constatare che c’è chi “usa” Cowo per sfornare idee come:
– scrivanie di ascolto attivo
– free coworking per gli under 30 con un’idea imprenditoriale
– collaborazioni sinergiche
– attività di contaminazione professionale tra cowomanager e coworker
– implementazione di progetti online allargati alla rete di coworker
…e altre cose che si sono dette ieri e non ricordo più.
Un lavoro straordinario, che dà valore al progetto Cowo e – non lo nascondo – costituisce per me una grande, continua soddisfazione.
Ogni giorno mi convinco sempre più di ciò che ho pensato alla nascita di Cowo:
Se faremo qualcosa di buono sarà perché qualcun altro si unirà a questa idea, facendola sua, arricchendola della sua interpretazione.
Sta succedendo. Forza.
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