— oh my marketing!

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Vita Sostenibile

Una delle mattinate più interessanti degli ultimi tempi l’ho trascorsa due giorni fa nel Tecnificio di Lambrate, dove Stefano Maffei (che si vede e si sente parlare), insieme a Stefano Micelli, Filippo Berto e ai ragazzi del team di Andrea Gianni preparavano il progetto AnalogicoDigitale per il Fuorisalone (Subalterno1 di via Conte Rosso 22, zona VenturaLambrate).

Straordinaria la tensione creativa e l’atmosfera carbonara che univa tutti i presenti, nei rispettivi ruoli e posizioni.

Per non parlare della stampante 3D, che ho visto per la prima volta e mi ha emozionato (dopo abbiamo stampato anche un fischietto!).

[youtube=http://www.youtube.com/watch?v=gIjP7dpzX84]

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Vi ricordate “Il mondo è piatto“?

Se non ve lo ricordate, rileggetelo.

Se non l’avete letto, leggetelo.

No, non sono diventato un dogmatico impartitore di ordini, ma quando un libro è capace di darti una nuova visione della vita e del lavoro, io penso che quel libro vada letto.

Ora, durante un recente viaggio negli Usa ho scoperto che lo stesso autore – uno che vince Premi Pulitzer come io vado al bar a Lambrate – ha scritto, insieme a un professore della Johns Hopkins University School, un libro sulla crisi degli Stati Uniti, sulla loro scellerata leggerezza degli ultimi due decenni, sulla disastrosa situazione in cui si trova la loro economia.

In sintesi, sullo stato di cose che ha fatto dire al presidente Obama:

It makes no sense for China to have better rail systems than us, and Singapore having better airport than us. And we just learned that China now has the fastest Supercopmputer on Earth – that used to be us.

(Ed è così che si chiama il libro, That used to be us).

E io che c’entro, direte voi?

C’entrate, perché anche voi avete paura di perdere il lavoro, a causa di cose tipo, chessò, che il debito pubblico americano è nella mani dei cinesi. O temete che vostro figlio finisca a servire Dim Sum in un fast food cinese.

E Friedman si sofferma anche su queste cose (ed è questo che gli fa vincere i Pulitzer, secondo me: che mentre leggi i suoi saggi capisci che parla di te).

E arrivo alla mia abitudine di sintetizzare il libro in una frase, traendo spunto da una pagina che ho citato anche sul blog BertoStory:

Come faccio a gestire il mio futuro, la mia professione, il mio posto di lavoro in un mondo che cambia freneticamente, dove tutto ciò che può fare una macchina… è solo questione di tempo – lo farà lei al posto dell’umano che lo fa ora, come devo fare per difendere il mio lavoro o cercarmene uno?

Friedman-Mandelbaum suggeriscono tre atteggiamenti mentali:

1.
Pensa come un immigrante, cioè: non dare nulla per scontato, fai grande attenzione al mondo intorno a te, impara continuamente

2.
Pensa come un artigiano, cioè: metti un tocco personale, uno stile unico in tutto ciò che fai, e vanne fiero; comportati come se ogni cosa fatta da te portasse le tue iniziali

3.
Pensa come una cameriera, cioè: anche se il tuo lavoro non ti permette interpretazioni, se sei un esecutore, trova il modo di aggiungere un extra, come quel cameriere che ti porta la braciola con un contorno abbondante e ti dice “ti ho messo un po’ più di patatine”, segno che si è chiesto come poteva, nell’ambito limitato del suo lavoro, creare una differenza per sé

In sostanza: cercate fare quello che una macchina non potrà mai fare.

E buona fortuna.

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Mi accorgo adesso che nel novembre scorso a Ecomondo, durante la presentazione dello “smart building” Pandora, mi hanno girato questo video.

“Girato” è la parola chiave, perché ero proprio… girato dalla parte sbagliata!

Spero che i concetti espressi emergano lo stesso (l’ultima parte del video per fortuna lascia la mia schiena per inquadrare le slides). In ogni caso, la presentazione è visibile qui.

Grazie al Vega (che, lo ricordo, è anche uno spazio di coworking Cowo) per questo contributo!

[youtube=http://www.youtube.com/watch?v=uHxyNdZv0TI]

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Primo: capire cosa devi fare. Secondo: farlo.

Forse è per questo che le giornate non bastano mai…

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Senza i miei coworker non ce l’avrei mai fatta. (E posso dire questa frase per un sacco di cose, ormai).
Grazie.
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Non posso ancora dire cos’è, ma è bellissimo, l’ho fatto io con l’aiuto dei miei coworker di Milano-Roma, porta sostenibilità e leggerezza, è un sogno che inizia ad avverarsi.

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Visto che mio figlio (in quinta) fa 4 ore settimanali di religione e 3 di inglese, perché non gli insegnate la religione in inglese?

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Focus per non perdere di vista le cose importanti, non confondere le idee fondamentali con quelle solo carine.

Equilibrio per capire quando fermarsi, quanto chiedere agli altri e a me stesso, dove spingere e dove trattenersi.

Energia per riempire di azione i piani attualmente sulla carta.

Idee per risolvere i problemi, quelli che vedo e quelli che arriveranno, senza ricadere in formule già usate, quindi sbagliate per definizione in un mondo che cambia.

Slancio, perché solo muovendoti riesci a stare vivo.

Amici, perché da soli, nulla può funzionare.

E soprattutto, più futuro: uno sguardo più lungo e fiducioso su quello che ci aspetta, una presa maggiore sui giorni e sugli anni, una presenza capace di incidere sulla realtà delle nostre vite, in termini di sostenibilità, di progettualità, di futuro, appunto.

Per me, per la mia famiglia, per la mia città, i miei coworker, per tutti.

Chiedo troppo? Secondo me è ancora poco, ma per questi 12 mesi può bastare 😉

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L’ho letto, l’ho riletto, poi l’ho regalato. L’ho consigliato, l’ho fatto leggere. Ne ho comprati ancora, che ho dato ai miei collaboratori. Un giorno che avevo un dubbio, ho comprato al volo la versione ebook, e poi ho messo in giro anche quello.

Ho portato con me questo libretto per quasi tutto l’anno (era il 1° marzo quando lo misi sul comodino), e ancora adesso è qui accanto al mio computer, sulla cui scrivania è peraltro ben piazzata anche la copia digitale, in pdf.

Per me, il bello del lavoro online ha molto a che fare con l’estendere la rete.

Con questo intendo dire che sono particolarmente attratto dai modi, lavori, opportunità di portare rete dove non c’è.

“Portare rete” significa anche usare strumenti nuovi, strumenti in grado di modificare i modi in ci ci si relaziona l’uno con l’altro, e Twitter – come sa bene chiunque si sia mai avvicinato a questo social network – è così diverso da risultare addirittura spiazzante.

In tutto questo, un libro come quello di Federica Dardi,  aka @elisondo è un bell’aiuto: insegna, spiega, avvicina, aiuta, accompagna, suggerisce, risponde, stimola, diverte.

Personalmente, è l’approccio che preferisco, quello più utile a chi con queste cose ci lavora (come il sottoscritto) ma anche più corretto verso chi queste cose le vorrebbe mettere nella giusta prospettiva: quelle di strumenti utili a farci qualcosa…

Insomma, alla domanda tipica di chi non riesce a “entrare” nello spirito di Twitter, ora c’è una risposta: un libretto blu edito da Apogeo e scritto da una blogger che ama i libri e ne studia presente e futuro.

Dimenticavo… la mia solita frase che riassume il libro:

Prima di giudicare frettolosamente un modo di comunicare che avvicina  qualcosa come 460.000 persone al giorno tutti i giorni, concedetevi il lusso di capirlo in un modo che non richiede nessuna fatica: un libro scritto bene.

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Sono un copy, ma sono orgoglioso di aver lasciato la sceneggiatura di questi film ad altri.

Li ho lasciati ai fondatori di Berto Salotti, che li hanno scritti – senza saperlo – lavorando per 40 anni la pelle, i telai in legno massello, i bottoni dei divani.

Io ho solo suggerito che anche il marketing si può fare con le mani.

E poi abbiamo girato.

Complimenti a un’azienda artigianale che ha saputo percorrere le strade del web tra i primi in Italia, e che ha onorato la mia agenzia di un incarico che ci emoziona e coinvolge: il progetto #percheberto.

Ho sempre pensato che la comunicazione migliore sia artigianato, e non dimentico mai l’ispirazione che ci ha dato un grande maestro della comunicazione, Pasquale Barbella, citando – come riferimento per il nostro lavoro – La chiave a stella di Primo Levi e la figura del tecnico maniaco del lavoro ben fatto, Faussone, nel suo libro Confessioni di una macchina da scrivere.

Nel nostro piccolo, proviamo anche noi ad essere all’altezza di un lavoro importante quale la comunicazione.

[Regia Dario Figoli – produzione Uaz Production]

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