— oh my marketing!

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Vita Sostenibile

Andare ad Amsterdam e partecipare a questo progetto di David Armano.

Via Infoservi.

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In via Maiocchi 11 Milano, il primo Read and Drink dell’era Obama (cliente Monkey Business)(non Obama, il Read and Drink).

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Parlando di coworking (le postazioni di lavoro in affitto presso MonkeyBusiness col wifi e il caffè incluso) c’è una bella iniziativa internazionale:

Se sei membro di un coworking e sei in viaggio, puoi usufruire di una postazione (a costo zero fino a tre giorni) presso uno degli altri coworking che aderiscono.

Noi di Cowo Milano aderiamo, e anche Blankspaces di Los Angeles, di cui vi presento uno spot molto simpatico.

[youtube=http://it.youtube.com/watch?v=NMEqTkvTQno]

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chge

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Continuo con la pubblicazione di qualche stralcio del libro, come già fatto (tra l’altro, c’è un preliminare, cauto interesse da parte di un editore, speriamo bene).

Ricordo che tutto questo nasce dall’esperienza del blog Aziende con le Orecchie.

Se qualcuno ha voglia di darmi un parere, apprezzerò moltissimo.

Nella stesura attuale, questa paginetta apre il testo. (Attenzione: Se conoscete l’argomento, di sicuro vi annoierete. Qui si parte dalle basi…)

Perché ascoltare.

Il marketing ha sempre suggerito alle aziende come parlare.

La comunicazione d’impresa, figlia del marketing, è sempre stata una specie di mostro senza orecchie e una bocca enorme.
Ascoltare non è mai stato nemmeno previsto, se non nelle forme sublimate e aziendocentriche delle ricerche di mercato.

Poi arrivò Internet.
I destinatari dei messaggi delle imprese (definiti “target”, bersaglio, termine che la dice lunga sulla considerazione di cui godevano) inziarono a parlare tra di loro.
Di tutto. Prodotti e marche compresi.
Sorpresa!
Bastarono pochissimi anni perché l’azienda non fosse più la protagonista incontrastata della sua comunicazione, l’unica voce in grado di farsi sentire davvero riguardo ai suoi temi.
Iniziò a diffondersi un certo brusìo di fondo.
Ai colpi di cannone degli spot tv e ai mitragliamenti delle campagne multimediali, le persone comuni iniziarono a contrapporre il cicaleccio di fondo, una chiacchiera diffusa proveniente dal basso, e piuttosto indifferente ai botti che aveva sopra la testa.

Stimolate da Internet e dalle sue tecnologie abilitanti, blog in primis, le conversazioni personali uscivano dalla sfera dei contatti personali, per entrare nella “big conversation” illimitata e globale che chiunque può trovare in rete su qualsiasi argomento.

E tra gli argomenti più gettonati – naturalmente – prodotti e marche.

In questo panorama, le scelte che un’azienda si trova davanti sono due: prendere atto di queste conversazioni (e magari iniziare a seguirle senza escludere l’idea di prendere la parola), oppure far finta di nulla e lasciare che i discorsi proseguano senza la sua presenza.

La seconda ipotesi è ovviamente riservata a chi non ha a cuore le sorti del proprio business. Per tutti gli altri, l’ipotesi dell’ascolto diventa ineludibile.

Fortunatamente per le imprese, le tecnologie abilitanti sono qui per tutti, e quindi le possibilità date ai consumatori sono offerte anche ad esse, e le condizioni per accedervi sono assolutamente sostenibili.

A patto di riuscire a fare il passo.

Nel momento in cui l’ascolto dei consumatori diventa parte della strategia aziendale, infatti, è come se l’azienda facesse un piccolo passo indietro nella gestione delle proprie sorti, come se decidesse di far sedere in consiglio d’amministrazione anche un paio di signore Pina e qualche sig. Mario.

Il vantaggio derivante da questa minimale e relativa perdita di controllo, però, è ampiamente ripagante.

Per la prima volta possono parlare direttamente con il proprio mercato.

“Direttamente” significa il manager o l’imprenditore a contatto con la signora Pina o il sig. Mario.

Non si tratta di comunicati stampa o di pubblicità ben scritte.
Si tratta dell’imprenditore (non dell’impresa: dell’imprenditore, o comunque di persone vere) faccia a faccia con il consumatore, in uno scambio diretto, e a volte anche immediato.
Anzi, più propriamente, si tratta dell’imprenditore zitto e con le orecchie ben aperte davanti al suo consumatore che gli parla.

Può essere un trauma.
Ma può anche essere il ritorno di una grande storia d’amore.
Non dimentichiamo che le persone amano i prodotti e chi li crea, se questi sanno comportarsi in modo da meritarlo.

E niente può raccontare un’azienda meglio di Internet, grazie alla conversazione che rende possibile.

Solo chi ascolta può capire questa cosa, in tutto il suo significato.

Un etto di marketing (è un etto e mezzo, lascio)?” di Massimo Carraro, ed. Alpha Test, sarà in libreria a fine gennaio 2010. Per avere un codice sconto del 20% senza obbligo di acquisto basta una mail.

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Come si può dire quando una persona che vedi al lavoro tutti i giorni impegnarsi dal mattino fino a sera tardi, impegnato a lanciare il suo business via Skype in tutto il mondo dalla scrivania accanto alla tua, come si può dire quella cosa che provi quando ti dice che ha vinto un concorso internazionale, con una tecnologia del tutto nuova, che nel weekend sarà in Germania con il socio americano (che lavora in Olanda) a ritirare il premio, e la settimana prossima vorrebbe lavorare insieme a un progetto di marketing dell’ascolto?

Secondo me, una cosa così si dice così: coworking.

🙂

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Mi aggiungete ai vostri contatti? Mi farebbe molto piacere. Io sono MassimoMonkey. Grazie 🙂

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Come promesso, inizio a pubblicare qualche stralcio del libro.

Colgo l’occasione della pagina pubblicitaria Febal dedicata al blog, appena uscita su Novella 2000 (beh, che c’è, dovevamo farla su Punto Informatico, la pubblicità del blog delle cucine?!) per affrontare un tema che mi preme molto, cioè il rapporto tra ascolto e pubblicità.

Questo che segue è il passaggio dedicato all’argomento.

Mi raccomando, conto sui vostri pareri!

La pubblicità, alla pari del marketing, non se la passa un granché bene.

Per cause che, a pensarci bene, sono alla base di questo libro (in sostanza, il rinnovato potere del passaparola), la reale incisività delle campagne pubblicitarie sui mass-media appare in questi tempi per lo meno un po’ blanda, e molti piani di comunicazione vengono portati avanti più per abitudini inerziali che per reale convinzione.

Occorre anche dire che, in tempi di crisi – checché se ne dica negli ambienti pubblicitari, che sostengono da sempre che è proprio in questi momenti che occorre intensificare gli sforzi di comunicazione – i budget vengono tagliati, e non c’è dubbio che una strategia di ascolto, a conti fatti, vive di cifre molto più contenute di quelle dell’advertising.

Ma, al di là di tutto, è possibile elaborare, sulla pubblicità, una posizione coerente con i tempi e al tempo sensata da un punto di vista di marketing?

Per quello che mi è dato di capire, credo sia una domanda prematura, quindi destinata a trovare una risposta con il tempo.

Ritengo però che già ora sia possibile innovare la visione dell’advertising, facendo tesoro delle esperienze suggerite dalle strategie di ascolto, sia alle aziende sia alle agenzie.

Ad esempio, appare del tutto superato, alla luce dei dialoghi in rete, l’approccio persuasivo basato sull’effetto speciale fine a se stesso, sui toni privi di un vero legame con il prodotto e soprattutto sulle promesse non sostenibili da un punto di vista di normale buon senso.

Questo per un semplice motivo: anche se ci sarà sempre qualcuno che si farà abbindolare da promesse vuote, è ormai evidente come fasce sempre crescenti di pubblico stiano sviluppando un atteggiamento fortemente critico e selettivo nei confronti dei “consigli per gli acquisti”, le conversazioni in rete lo testimoniano.

Inoltre, vedendo la questione da un punto di vista più ampio, quale miglior occasione di un annuncio tabellare per stimolare una conversazione, fornendone sia lo spunto sia la piattaforma per farlo?

A questo proposito, nel manifesto del marketing dell’ascolto ho inserito un riferimento diretto ed esplicito, che non rinnega la pubblicità, ma prova appunto a vederla con occhi nuovi:

6.
Le nostre campagne pubblicitarie sono un momento di scambio con i consumatori. Per questo mirano a creare complicità e coinvolgimento, evitando approcci imperativi.

In sintesi: anche nell’advertising, sia a livello concettuale che di linguaggio, non si può più prescindere dai crescenti livelli di consapevolezza e capacità di confronto del consumatore.

Un etto di marketing (è un etto e mezzo, lascio)?” di Massimo Carraro, ed. Alpha Test, sarà in libreria a fine gennaio 2010. Per avere un codice sconto del 20% senza obbligo di acquisto basta una mail.

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Ci sono molte buone ragioni per conoscere Venice Sessions.

Io comunque mi sono entusiasmato per questa montagna di titoli interessantissimi.

La “biblioteca del futuro”.

Aaaaah.

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Ok, sto scrivendo un libro. Sul marketing dell’ascolto (quella cosa su cui mi rompo la testa da un anno e mezzo).

Ho fatto una tag cloud di tutto quello che voglio metterci dentro.

Non è un glossario sul web 2.0, ma l’insieme dei concetti che stanno alla base del marketing dell’ascolto.

Mi aiutate a capire cosa ho dimenticato, o magari cosa ho sbagliato, e in genere cosa ve ne pare? Il libro ha un’impostazione un po’ più ampia di questa serie di voci, ma questo blocco di concetti è un po’ il suo cuore. Grazie mille!

(E scusate se non metto i link, ma è un post di servizio, anzi di auto-aiuto, come quelle cose tra alcolisti…)

aggregatore
alert
ascolto
aziende con le orecchie
blog
blogosfera
carrefour
cccvnp (kotler’s improbabile sigla)
ceo blog
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controllo, perdita del
contenuto
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cluetrain manifesto
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conversazione
creative commons
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passaparola
passaparola negativo
pazienza
perché
permanenza delle conversazioni in rete
permission marketing
pubblicità nell’era del markeitng dell’ascolto
quelli che bravo
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reputazione online, personale e aziendale
roberts, kevin – kr connect
ROI – Return of Investment o Return on Influence?
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scoble, robert
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