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Vicino a casa mia, da 14 mesi ci sono delle persone che vivono e lavorano da un camper.
Li vedo tutti i giorni, davanti alla Innse, ed è anche per questo che scrivo questo post.
Non entro nel merito della questione, ma vedo che la protesta è arrivata al punto da far salire alcune di queste persone (4 o 5 non so), non più tanto giovani, a 15 metri d’altezza, su una gru dello stabilimento, senza potersi lavare, al caldo torrido dell’agosto aggravato dal caldo che c’è dentro una fabbrica, e per giunta adesso gli hanno anche tolto l’elettricità in modo che non possano telefonare.
Se ho capito bene, pare che nemmeno i colleghi di lavoro possano avvicinarsi, sono tenuti lontani dalla polizia.
Quessto non è il colpo di testa di un matto ferragostano (se non avessi testimoniato, anche solo da distratto passante, il dramma che si consuma in via Rubattino da più di un anno, non scriverei queste righe).
Questo è un dramma, umano prima ancora che professionale, di circa 50 famiglie, che – dopo 14 mesi che lottano 24 ore su 24 contro fantasmi quali “le istituzioni” – oggi si vedono improvvisamente circondati da poliziotti armati.
La capacità di risolvere situazioni come questa è come il bagno del ristorante: il livello di civiltà di una situazione si vede anche da questo.
E qui non siamo in un ristorante di terz’ordine, ma in una delle città più avanzate d’Europa.
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